mercoledì 9 novembre 2011

da Lima a Trujillo e Huanchaco

Prendiamo un autobus bellissimo a due piani, con hostess e wifi. Il nostro biglietto é per Chimbote, 4 ore a Nord di Lima. Il viaggio é davvero pittoresco, su una strada litoranea a picco sul mare in un deserto di sabbia. Il cielo grigio e nebbioso rende il paesaggio un po' mistico, un po' inquietante e molto esotico. A Chimbote, grosso centro ittico sul pacifico, proviamo a scendere dal bus ma l'olezzo di pesce é troppo forte, non ce la facciamo. L'autista comprensivo ci riprende a bordo e ci porta fino a Trujillo 250 km più a nord dove per fortuna la puzza di pesce non si sente più. Trujillo é una bella città coloniale fondata da Francisco Pizarro il conquistador del Sudamerica in onore della sua città natale Trujillo in Estremadura, Spagna. Ci saremmo fermati più a lungo ma, il giorno dopo il nostro arrivo, il taxista, che ci stava portando all'albergo prescelto, ci ha consigliato di andare a Huanchaco, sul mare, dove in bassa stagioni avremmo trovato alberghi a basso prezzo. Abbiamo accettato. A Huanchaco siamo rimasti con gioia per più di due mesi assistendo increduli all'impennata dello spread, alle dimissioni dell'ignobile Berlusconi, al colpo di stato di Napolitano con insediamento dell'illegittimo Governo Monti. Tra lavoretti, amicizie e memorabili ciucche abbiamo festeggiato Natale e Capodanno e poi siamo ripartiti con molti rimpianti senza un chiaro programma di viaggio.

venerdì 4 novembre 2011

A Lima

il 4 Novembre, compleanno di Grace, siamo partiti per Lima in aereo. Lima é enorme, ha un bel centro storico, sta in mezzo al deserto tanto che per mamcanza di pioggia non esistono neppure i tombini e gode di uno sgradevole cielo grigio nebbioso. Ci siamo rimasti 6 giorni cambiando 4 volte albergo. Oltre ai monumenti storici la cosa più interessante é stato il museo fotografico della memoria della guerra civile degli anni ottanta e novanta scatenata da Sendero Luminoso.

giovedì 3 novembre 2011

Il Machu Picchu

Il Machu Picchu é stato scoperto da un ambizioso esploratore Americano di nome Hiram Bingham nel 1911, accompagnato da un pastore locale Melchiorre Arteaga che abitava lí da sempre e che quindi non poteva scoprire niente. Bingham che non era un modesto, fu subito certo di aver scoperto la sacra città perduta degli Inca (un mito senza basi nato probabilmente dal senso di colpa occidentale) e si preoccupò molto di curare il marketing della sua scoperta. Il risultato é che al Machu Picchu arrivano ogni anno 6 milioni di turisti, i resti della città sono curatissimi e in ottimo stato mentre generalmente nei magnifichi siti archeologici del Peru non s'incontra anima viva e le pecore pascolano beate tra i resti delle civiltà scomparse. Noi partiamo a piedi verso le nove per percorrere i 10 km di salita che ci separano dal sito archeologico. Capiamo subito come funziona. Primo pagare subito, poi venir controllati, poi pagare nuovamente e venir nuovamente controllati... Non siamo soli: sulla strada decine di Pullman trasportano in alto centinaia di turisti. Verso le 12 passiamo l'ultimo controllo poliziesco e siamo nel parco. Siamo incazzati ma é bellissimo, é come Venezia a Ferragosto, intasata di gente fino all'ultimo angolino ma ne valeva la pena. Non ci saremmo mai venuti ma ora siamo coscienti di essere in un posto unico, inimitabile, indimenticabile, noi insieme a questa coda di 40 turisti giapponesi aggrappati alla scala che ci porta al tempio del sole. La vista dall'alto é da urlo se non fosse che dobbiamo aspettare che il gruppo tedesco finisca di fotografare l'altare sacro e, quando finalmente superiamo i canadesi e entriamo nel settore residenziale... comincia a piovere. Il titanic affonda, le masse sbandano, cercano un riparo, rimettono la macchina fotografica ed estraggono il telo antipioggia. Ci affolliamo verso l'uscita perdendo la compattezza del gruppo nazionale. Ora siamo più individui bagnati e spaventati dall'acqua che ci circonda e rende le sacre pietre scivolose, maledetti Inca e maledetto Bingham e maledetta pioggia!! All'uscita regna il caos: le migliaia, bagnate aspettano in coda gli autobus che li riportino in basso, in albergo, all'asciutto, via da lì, Ma non é semplice. Noi, Ale e Grace, riprendiamo a camminare. Stavolta sotto la pioggia tropicale in discesa che forse é meglio del sole tropicale in salita dell'andata. Arriviamo a valle che é quasi buio fradici ma felici. Siamo stati al Machu Picchu!! Il giorno dopo torniamo a Cusco, ma ci arriviamo per pura fortuna, la nostra agenzia si era infatti dimenticata di mandare il pulmino a riprenderci (già pagato). Nel dubbio sul che fare, per fortuna, siamo saliti su un autobus di un altra agenzia. Riusciremo comunque a farci rimborsare senza problemi. In Peru é così, ci si può dimenticare...

mercoledì 2 novembre 2011

Il viaggio verso il Machu Picchu

Siamo a Cusco da più di una settimana e ormai dobbiamo farlo. Siamo coscienti che é sciocco come andare a Venezia a ferragosto, lo sappiamo che ci troveremo intrappolati insieme a migliaia di turisti sugli stretti costoni delle sue pendenze, siamo certi che ci rapineranno facendoci pagare il triplo ogni cosa, sentiamo che non ne vale la pena, ma siamo in Peru, a Cusco, a pochi km dal Machu Picchu e dobbiamo andarci, lo impone la sacra legge dell'omologazione turistica mondiale. Per il rito scegliamo la strada meno esotica e meno cara: non ci metteremo in coda a piedi sotto l'acqua per seguire il pateticamente new age sendero dell'inca e non daremo 100 US$ alla compagnia ferroviaria per un viaggio di 40 km. Prenderemo invece un pulmino fino a dove arriva e poi seguiremo a piedi la ferrovia fino ad Aguas Calientes, il paesino ai piedi del Machu Picchu. La camminata é molto piacevole, per un paio d'ore costeggiamo un fiume in mezzo ad una rigogliosa vegetazione tropicale. Bisogna saperlo, il Machu Picchu sta su un cucuzzolo a strapiombo ma non in alta montagna. Arriviamo ad Aguas Calientes che é già buio ma fortunatamente non é piovuto.

giovedì 27 ottobre 2011

Sandor, Uripa e Ismael

La mattina decido di andare a visitare il sito archeologico di Sandor che sta pochi km sopra Andahuaylas, prendo un pulmino e dopo poco arrivo sul bordo di un bellissimo laghetto, il lago Pacucha. Lo costeggiamo per poi entrare in una valle da incanto bucolico. Sono di nuovo in un mondo premoderno di pura agricoltura e case di fango ma qui non parlano quechua ma la lingua chank. Quando il pulmino arriva al capolinea continuo a piedi. Salgo a piedi con due ragazzi che mi spiegano tutto della popolazione chank di cui il sito che sto andando a visitare é ed é stato la massima espressione. Le rovine sono bellissime, sulla cima della montagna. Non ci sono molte indicazioni per il turista anche se guardando dall'alto la fertile e coltivatissima valle del Pacucha a me sembra chiaro che i Chank, prima di essere conquistati dagli Inca, dovessero stare piuttosto bene, tanto da decidere che si dovessero ringraziare gli dei con una sacra città di pietra in cima alla montagna più alta. Un Machu Picchu. Salgo fino all'altare superiore, prendo qualche foto e ridiscendo. Ho un lungo viaggi da fare oggi. Tornato ad Andahuaylas scopro che non esistono mezzi fino ad Ayacucho, ma mi consigliano di arrivare con un collectivo fino a Uripa da dove troverò di certo il passaggio che cerco. Mi convincono anche se su nessuna mappa compare Uripa. Ci arrivo dopo due ore, con un passaggio sopra i 4200 metri al passo Hulpakasua. Sono le due del pomeriggio e naturalmente le macchine per Ayacucho sono appena partite. Aspetto un'oretta in piazza e arriva un'omone con la barba che si chiama Israel, é Andaluso ma vive e lavora in Peru: fa l'ingegnere nei lavori di rifacimento delle strade. Aspettiamo in due, perché Israel va qualche giorno in vacanza a trovare la moglie a Trujillo, finché arriva un'elegantone con l'aria del commerciale di città. Aspettiamo in tre ma nessuno dei taxisti si fa corrompere dal nostro forte potere monetario. Sono le 4 del pomeriggio e per Ayacucho ci vogliono 4 ore di viaggio su pista con una salita che Israel definisce da paura. Alla fine un ragazzo cede per 100 soles (di cui 50 offerti dell'elegantone) e due galloni di benzina che la ditta di Israel pomperà nel suo serbatoio. Partiamo. Discesa a rompicollo fino al fiume, in mezzora si passa dai pini delle alpi ai frutti tropicali. La musica é ottima segue il ritmo delle vibrazioni meccaniche della macchina che costeggia il fiume. Lo attraversiamo e iniziamo la salita, vera paura. La cumbia é sempre più coinvolgente ma intanto arriva il buio, non vedo più il burrone alla mia destra ma lo sento, e sembra vicinissimo e profondissimo specialmente quando incrociamo qualche enorme camion che scende. Alla fine siamo in cima e poco dopo arriva anche l'asfalto. Tutto é più tranquillo, e in mezz'ora arriva anche Ayacucho che dall'alto sembra grandissima. Mi lasciano in centro, vicino all'albergo che mi consiglia Israel. Loro vanno a prendere l'autobus per Lima dove arriveranno la mattina dopo. Io mi faccio un giro in città, che è animatissima, piena di gente che sembra divertirsi molto. Mi cerco un ristorante e bello contento vado a dormire.

mercoledì 26 ottobre 2011

Cusco, Abancay, Andahuailas, Ayacucho

Grace deve lavorare e io muoio dalla voglia di visitare i luoghi di Sendero Luminoso, il gruppo maoista che negli anni ottanta scatenó la guerra civile in Peru. Cosí decido di partire da solo per raggiungere Ayacucho la cittá della sierra peruana la cui universitá fu la culla del senderismo. In collectivo raggiungo Curahuassi, poi veloce cambio e dal pulmino passo ad un taxi collettivo che mi porta a Abancay dove mi sbarcano su un pulmino che sta partendo per Andahuaylas. Lasciamo la strada asfaltata e iniziamo una salita impressionante che ci riporta sopra i 4000 metri. Il paesaggio mostra pascoli verdi e paesini appollaiati in mezzo alle montagne, ancora oggi privi di tutto. Sulla strada i lavori pubblici sono molti. Dall'alto mentre il sole sta tramontando si scorge Andahuaylas. É una citta orribile di quelle che il tercero mundo partorisce e mostra senza vergogna e ritegno. Trovo un albergo, mangio e vado a letto.

lunedì 24 ottobre 2011

A Cusco

Ci svegliamo e a Grace arriva una proposta di lavoro. Ottimo ci voleva, è un modo per fermarsi. Cerchiamo un hotel adatto e passiamo la giornata a curare il blog e la traduzione. In serata visitiamo la cattedrale. Altro stupore, a questo punto la domanda è: esistono chiese non interessanti in sudamerica?

domenica 23 ottobre 2011

Andiamo a Cusco


Si riparte andiamo a Cusco, la mitica capitale degli Incas. Ci vogliono 5 ore di autobus. Partiamo alle nove e a poco a poco usciamo dall'altopiano del Titicaca, superiamo il passo La Raya a 4380 m. e quando cominciamo a scendere il paesaggio cambia, il non alberato altopiano che procede da La Paz lascia il posto a valli più famigliari con alberi, fiumi, ruscelli e alla fine arriviamo a Cusco. Siamo sempre a 3500 metri ma il clima sembra più dolce anche se vediamo nuvole nere. Sarà arrivata la stagione delle piogge? Per ora non piove e la cittá sembra molto bella, almeno la parte coloniale. Una guida locale ci spiega che Cusco è una città piena di misteri irrisolti ma la cosa che ci sorprende di più è che tutti i bellissimo palazzi della città seicentesca sono fatti come la casa di Felix cioè con mezzo metro di pietre e poi mattoni di fango, per quanto larghi un braccio.

sabato 22 ottobre 2011

venerdì 21 ottobre 2011

Gli Uros delle isole galleggianti di canna


La mattina andiamo col figlio e la figlia di Felix a visitare le isole di canna degli Uros. Gli Uros sono una popolazione andina eternamente sopraffatta dai propri vicini Aimara. Quelli del lago Titicaca, per liberarsi dei noiosi vicini sono scappati sulle isole galleggianti. Ora vivono qui ma non sembrano molto felici, almeno così ci spiega Pedro, il Presidente dell'isola su cui sbarchiamo. L'isola sarà 100 mq e caminarci sopra non è semplicissimo perchè si sprofonda nelle canne. Loro vorrebbero andarsene ma non hanno una lira per comprare la terra sulla riva del lago e coltivare qualcosa. Così vivono qui, pescando e barattando il pesce con i contadini Aimara e Quechua che vivono sulle sponde del lago. I loro cugini  delle isole vicino a Puno si stanno arricchendo col turismo ma loro continuano a vivere di stenti al freddo. Perché sul lago il vento é spesso gelido e la sera nella capanna di canne non possono neppure accendere il fuoco. Per cucinare usano il fuoco ma solo in cucina, una capanna comune in mezzo alle altre. Gli abitanti di questa isola sono molto giovani, al massimo 30 anni e si dividono in otto famiglie con otto capanne. Non vediamo bambini che sono tutti a scuola su un'altra isola di canne distante due ore a remi, che i bambini si fanno ogni giorno per andare e tornare. Pedro ci spiega che oggi la base dell'isola non é più di sola canna ma di terra. Questo strato e' comunque galleggiante perché impregnato d'acqua. Sopra la terra si poggia uno strato di canne che si rinnova ogni 15 gg. Le isole sono poi ancorate a otto piloni infilati nel lago. Un amico di Pedro, Alejandro, che oggi non é a pescare perché stanco dalla giornata precedente, particolarmente ventosa, ci porta a fare un giro sulla barca Uros tradizionale. In verità ci spiega che non é fatta solo di canne perché da qualche anno una innovazione progettuale ha portato a scoprire che le barche potevano essere fatte di bottiglie di plastica vuote, assemblate in forma di barca tradizionale e ricoperte di un leggero strato di canna. Risultato: la barca è più resistente e richiede meno lavoro per la costruzione. In ogni caso per andare a pesca utilizzano delle normalissime barche di legno costruite da maestri d'ascia perché sono più maneggevoli, le barcone di giunco e bottiglie servono solo per i turisti. La visita non é certo stata una passeggiata nella spensieratezza.
Questo autentico mondo selvaggio come al solito ha un risvolto tristissimo e forse gli inautentici (parola stupida che indica un essente irreale, tutto è autentico, nulla non lo é) Uros delle isole di Puno, ricchi per il turismo e biasimati da tutti i turisti che abbiamo conosciuto in zona, perché recitano malamente la parte degli Uros delle isole galleggianti, sono meno pittoreschi ma certamente molto più felici.
Per fortuna verso le 11 i figli di Felix ci passano a prendere (erano stati a tagliare giunchi qui attorno) e in un'ora siamo a casa. Mangiamo, salutiamo e ripartiamo per Puno. Sulla strada alla fermata di Capachica, incontriamo Felix che dopo essere stato a far compere in città sta rientrando a casa.

giovedì 20 ottobre 2011

L'isola Tequile


La mattina alle quattro, Alessandro accompagna Felix e l'asino Mariano ai terreni alti che dopo sette anni di riposo, da quest'anno riprendono la produzione di patate. Mariano trasporta un sacco di guano delle galline di Felix per concimare il terreno. La salita dura un'oretta proprio all'alba mentre il sole illumina la penisola di Pucamayo e l'isola di Amantanì. (forse Santorini ha qualcosa da invidiare al Titikaka). Felix spiega che fra poco anche lui costruirà il tipico totemino di protezione del campo, fatto di pietre sovrapposte che in quechua si chaima seiua. Torniamo a valle, alle 7,30  si parte per il giro sull'isola Taquile che sta ad un'ora di lago. Siamo i primi turisti ad arrivarci questa mattina e l'isola sembra ancora addormentata. La gente di qui veste in modo differente rispetto alla costa di fronte e costituisce una specie di gruppo etnico a parte. L'isola è molto bella ma tutto qui intorno lo è. Peccato che Felix ci aspetti alla barca dopo tre ore, alle 11, perché ci sarebbe piaciuto rimanere ancora un po'. Ma all'una Felix deve andare con tutta la famiglia a seminare le patate nei terreni bassi e dobbiamo rientrare presto.
Durante il ritorno Felix ci mostra la casa in cui é nato e dove ancor oggi abita la madre, ci parla della sua  barca costruita da pochi mesi da un mastro d'ascia della zona, e ci fa vedere un uccello lacustre incapace di volare che viene catturato grazie ad inseguimenti con la barca che lasciano l'uccello privo di forze. La sua carne é molto buona, dice. La sera Felix ci spiega come sono fatti gli abiti femminili del posto, composti da un cappello a quattro corni piatto e colorato, da uno scialle, da una gonna, da una camicetta ricamata e da  una giacca. Il tutto costa quasi 1000 soles, cioè una paga mensile da insegnante e qui tutte lo portano se sono sposate. Le ragazze non sposate invece hanno un cappello di lana lungo mezzo metro molto buffo. Poi ci spiega cosa produce la sua terra ( patate, orzo, quinoa, fave, mais) e il processo di liofilizzazione delle patate tramite il gelo che permette di conservare il tubero per anni.

mercoledì 19 ottobre 2011

L'erba mugna


Siamo tornati alla penisola di Capachica. Altro viaggio faticoso e lungo. Mentre camminavamo a piedi abbiamo incontrato una vecchietta vestita di azzurro che come, tutte le donne di qua, camminava filando la lana. Per vedere come funzionava il suo lavoro abbiamo fatto conoscenza e ci ha detto in quechua di essere la suocera di Felix. Avevamo capito bene perchè quando abbiamo mostrato la foto alla moglie di Felix lei ha gridato felice "es mi mama"!!  La signora moglie di Felix ci ha poi fatto conoscere la mugna, sorprendente erbetta locale con cui si fanno gradevoli infusi e che secondo Internet avrebbe altre ottime qualità tra le quali quella di condurre gli Inca al nirvana. Dopo una passeggiata, abbiamo guarda Felix costruire la propria camera da letto con mattoni di fango (Adobe) sigillati con una malta di fango.
Le case qui sono tutte fatte in questo modo con tetto di paglia o più modernamente di lamiera ondulata. Se ben tenute durano trent'anni. Il primo mezzo metro delle pareti è di pietra.

martedì 18 ottobre 2011

Conosciamo Felix Turpo


Abbiamo fatto il primo giro sulla penisola di Capachica. Ci si arriva da Puno in un'ora di pulmino, attraverso la riserva naturale del Titicaca che e' un'enorme piana piena di fattorie. Il capolinea del pulmino è a Copachica, da qui finisce la strada asfaltata e si procede con un altro pulmino fino a Llachon dove finiscono le strade carrozzabili. Camminiamo a piedi per un'oretta sotto il sole  finché sulla scogliera vediamo un'insegna turistica. Entriamo per chiedere se hanno una bottiglia d'acqua e ci si presenta un signore dalla faccia simpatica, dice di chiamarsi, Felix, di avere male alle mani perché sta spaccando pietre, ci chiede se vogliamo un mate di coca e dice di essere sulla Lonely Planet. Consultiamo subito, in effetti si tratta del signor Turpo, l'ideatore della prima doccia calda della penisola. Ci fa vedere le stanze che affitta. Il posto e' fantastico, decidiamo che torneremo domani per fermarci un paio di notti anche perché Felix ci porterà con la sua barca a visitare le isole vicine comprese quelle di giunco. Il ritorno a Puno è un po' faticoso stretti nei pulmini fra enormi, odorosissime, rubiconde, coloratovestite contadine titicagne.

lunedì 17 ottobre 2011

Lasciamo la Bolivia

Siamo partiti da Copacabana in una magnifica giornata di sole andino, col cielo terso e azzurro come solo in alta montagna si può trovare. Lasciamo la Bolivia. Giudizio: sicuramente un Paese molto duro da attraversare. Meglio farlo a 20 anni. Sicuramente ci mancherà la società boliviana, così militante e impegnata, litigiosa e politicizzata. Chissà come andrà a finire la marcia degli indigeni del TIPNIS che a giorni arriverà a La Paz? chi vincerà le elezioni,  l'opposizione o Evo? Intanto partiamo sotto la direzione di un esperto controllore di viaggio che agisce in modo da non avere e da non farci avere problemi durante il passaggio della frontiera. Questa è soli 10 km e tutto procede regolarmente. Da segnalare solo la dogana peruviana che mostra subito che il Perù non è la precaria Bolivia, la sala è lucida e luminosa e la funzionaria della dogana una smagliante e sorridente ragazza. Per noi boliviani, è come arrivare a Las Vegas. Poi il viaggio continua lungo le rive meridionali del Titikaka dove si protrae la stessa civiltà contadina che avevamo visto in Bolivia. Sulla strada paesi presidiati da spettacolari chiese barocche. Alle 11 arriviamo a Puno e prendiamo possesso di una luminosa stanza all'hostal Lobo inn. La cosa che colpisce di Puno, sono i taxi a motoretta modelo Ape della Piaggio e i taxi a bicicletta mollo risciò. Visitiamo la chiesa nella piazza d'armi (nome della piazza principale in Perú). Da dietro l'altare maggiore filtra una luce azzurrognola che da a tutto l'interno un'aurea mai vista. Strano come le chiese possano ancora meravigliare nonostante se ne siano viste a centinaia.

domenica 16 ottobre 2011

Cambiamo programma


Ci svegliamo e il cielo è sempre grigio, siamo meteoropatici per cui non troppo allegri. Decidiamo di disdire la prenotazione della casa con cucina e di partire il giorno dopo. Oggi in Bolivia ci sono le lezioni per gli organi giudiziari nazionali e i mezzi pubblici non viaggiano. Domani andremo in Perù.


sabato 15 ottobre 2011

Sulla riva del lago

Lasciamo l'hotel Utama (casa tua in aimara) e andiamo all'hotel Estrellas proprio sulla riva del lago. Domani dovremo trasferirci nella casa con cucina ma per ora aspettiamo.

venerdì 14 ottobre 2011

Isla del sol


La leggenda inca, narra che le due isole a nord di Copacabana rappresentino il sole e la luna e che da esse sarebbe nato l'inca. Andiamo a visitare l'isla del sol. Facciamo le cose male, senza seguire l'itinerario classico che prevede l'imbarco sulla spiaggia di Copa e un viaggio di un'ora e mezza sul battello. Sbagliamo, impieghiamo più tempo e paghiamo di più. Approdiamo sull'isola sotto la reggia incaica che guarda ad est la nascita del sole. Il paesaggio non ha nulla da invidiare a Santorini e alle isole greche in generale. Poi a piedi (l'isola non ha automobili e strade carrozzabili) raggiungiamo il paese di Yumani, prendiamo un caffè e scendiamo al porto ad aspettare il battello che ci riporti a Copa. Il cielo è un po' grigio e il tutto ha un sapore un po' malinconico e sicuramente troppo turistico. Il viaggio di ritorno in barca però è bellissimo.

giovedì 13 ottobre 2011

Copacabana


Cerchiamo casa e troviamo che in una pensione, gestita da un tedesco, Martin, affittano quello che cerchiamo ma che sarà disponibile solo tra qualche giorno.

mercoledì 12 ottobre 2011

Decine di migliaia per Evo


Lasciamo La Paz. Dobbiamo dire la verita', non ci e' piaciuta. La vista dall'alto, cioe' da El Alto, e' sicuramente intrigante ma poi la citta'  e' caotica e sopratutto inquinatissima dallo smog di centinaia di pulmini pubblici che garantiscono la viabilita' urbana. Comunque sia, siamo a disagio anche a cuasa dell'altitudine e cosi' ce ne andiamo. Va comunque ricordata la straordinaria manifestazione pro Evo ( il presidente in carica) che ha sfilato davanti ai nostri occhi per ore. Migliai e migliaia di contadini indio vestiti in costumi tradizionali (che qui sono usati quotidianamente dalla gente di campagna) ha attraversato le strade della capitale sotto le insegne dei propri sindacati e associazioni di categoria. Noi andiamo a  Copacabana sul lago Titikaka. La strada per arrivarci e' molto intessante. Prima risaliamo La Paz, Poi attraversiamo El Alto e quindi ci ritroviamo sul vasto altipiano del Titikaka. E' un mondo contadino, arcaico, privo di macchine. Tutto viene fatto a mano o con le bestie. Le case dei contadini sono sparse nella pianura senza che recinzioni o canali limitino il territorio.  A nord le vette innevate della Sierra Real sono pittoresche. C'è qualche lama ma per lo più è la mucca a far da padrona. Dopo due ore arriviamo al Titikaka e dobbiamo attraversare uno stetto. Scendiamo tutti dal pullman che verrà caricato su una chiatta e attraversiamo il braccio di lago con una barca a motore. Nel primo pomeriggio arriviamo a Copacabana dove immaginiamo di affittare un appartamento con cucina e di fermarci almeno una settimana.




martedì 11 ottobre 2011

La Paz

Prendiamo un altro mese di visto alla Migracion. Alessandro sta poco bene e smette di fumare per la 40esima volta.



lunedì 10 ottobre 2011

Voliamo a La Paz

Voliamo a La Paz. Riprendono i problemi d'altitudine. La Paz e' la citta' più inquinatandel mondo

domenica 9 ottobre 2011

Salutiamo Uffo e Monica

Consegnamo la jeep, salutiamo Uffo e Monica, la sera piove e il portiere dell'albergo e' contento perché erano mesi che non pioveva.

sabato 8 ottobre 2011

Missioni IV

Decidiamo di seguire il consiglio del francese. Partiamo alle nove (dopo interessante sosta alla pompa di benzina che funziona nel seguente modo: si arriva al benzinaio e ci si deve registrare da un militare fornendo targa del veicolo numero patente e numero passaporto. Il militare autorizza il distributore cassiere a rilasciare un biglietto da consegnare al distributore alla pompa per fare rifornimento. Il distributore alla pompa scrive sul biglietto l'importo da pagare e con questo ci si reca dal distributore cassiere che accetta il pagamento solo previa comunicazione del numero di targa e di passaporto) poi partiamo per Chochis dove visitiamo un santuario Mariano dedicato alla vergine che salvo' una parte della popolazione dall'alluvione del 1959. Bella struttura sotto un'enorme monolite rosso alto 250 metri. Poi abbandoniamo la strada asfaltata che corre verso il Mato Grosso e saliamo a Santiago. In effetti il a pese ricorda vagamente Santa Ana ma siamo stufi di missioni. Giriamo la macchina e torniamo a Santa Cruz dove arriveremo alle sette di sera stanchi ma veramente felici di aver visitato questi posti che seppur magnifici non godranno per ancora moltissimi anni della possibilità di essere più vicini al mondo.

venerdì 7 ottobre 2011

Missioni III

Ripartiamo verso le nove, nuova avventura per la benzina e poi via verso Santa Ana. Santa Ana ha una storia un po' particolare: e' stata costruita dopo che i gesuiti se ne erano andati ma gli indigeni avevano evidentemente imparato l'arte e la chiesa anche se più povera delle altre, meno barocca, appare senz'altro la più originale. Il paese ora e' molto curato e ordinato con qualche attivita' turistica molto molto basica e la scuola primaria. Tutto e'molto tranquillo e sereno la strada asfaltata piu' vicina sta a 200 km ma all'inizio del xx secolo Santa Ana era la capitale della zona, aveva 20 mila abitanti e vi si stampava un quotidiano, il dover, che oggi, stampato altrove, permane il quotidiano della provincia. La ragione del boom di cent'anni fa stava nel gran numero di piante di caucciù della zona.
Ripartiamo, arriviamo a San Raphael, visitiamo la missione, ma ormai siamo stanchi, una si confonde con l'altra, poi andiamo a San Miguel, dove sulla porta della chiesa ci accoglie il custode che sta per andare a pranzo ma ci mostra tutto. Poi cerchiamo di mangiare, ma San Miguel, e' un villaggio troppo misero, l'acqua corrente non esiste nelle case e non ce la sentiamo di affrontare il rischio influenza ( in questi giorni a Santa Cruz le scuole sono chiuse per l'epidemia di influenza suina). Il programma di viaggio prevede che torniamo a San Raphael e poi da li raggiungiamo San Jose' dove nella notte Uffo e Monica prenderanno il treno per Santa Cruz. Ale e Grace pero' decidono che ormai il viaggio non ha più senso, abbiamo visto le missioni gesuitiche, sappiamo tutto e siamo stanchi. Non abbandoneremo i nostri compagni di viaggio nella notte su un treno ma torneremo con loro in citta' il giorno dopo. Monica e' felicissima.
Riprendiamo la strada, ancora giungla, qualche stagno, qualche tenda di colono cicalerò che sta impiantandosi nella giungla per iniziare una nuova vita. 180 km fuori strada un solo villaggio chiamato 'Fortuna'. Poi finalmente prima del tramonto San Jose'. La chiesa della missione e' l'unica del circuito in mattoni, e' stupenda, arancione nella luce del tramonto. Annesso c'e' un interessante museo ma che guardiamo velocemente perché troppo stanchi.
C'e festa in città e molti alberghi sono pieni. Una Simpatica ragazza del ristorante Arte y sabor ci manda un po' fuori citta' e ci sistemiamo, torniamo da lei per cenare, non l'avessimo mai fatto. La ragazza e' moglie di un Francese chiacchierone ( sosia del compagno delle elementari di Alessandro, chiamato Cinque) che lavorava nei boschi brasiliani. Una sera colpito dalla bella boliviana ha deciso di restare in mezzo alla giungla, di aprire un'azienda agricola e un ristorante. E ora ci consiglia caldamente di continuare la strad a verso il Brasile per non perderci Chochis e soprattutto Santiago. Una missione a suo dire meglio di Santa Ana.
Inviato da iPad

giovedì 6 ottobre 2011

Missioni II

Anche la missione di Conceprion e' molto interessante e bella. Cominciamo ad avere forti dubbi sui nostri pregiudizi anticlericali. I Gesuiti sono stati qui per un centinaio d'anni prima che il Papa li richiamasse in Europa nel 1772 per non contrariare i commercianti di schiavi che avevano bisogno di manodopera. In cento anni non solo hanno costruito queste bellissime chiesetta e piazze, ma hanno anche inventato una variante della musica barocca costruendo una tradizione colta che dura fino ad oggi. Negli anni 60 un teologo architetto svizzero, Stephen Roth che Uffo ha avuto la fortuna di conoscere personalmente nel suo precedente viaggio, ha restaurato in modo superbo questo patrimonio, ricostruendo tra l'altro la capacita' di intagliare il legno e restaurare mobile e strumenti musicali da parte della popolazione locale. A meta' mattina lasciamo Conception alla volta di San Ignacio de Velasco non senza segnalare ai collezionisti che nel cortile dell'albergo e' parcheggiata una vecchia Ford 108 decappottabile che andrebbe recuperata e rimessa in ordine.
La strada per San Ignacio non ce l'aspetavamo. Prima abbiamo fatto una cado di un'oretta per fare benzina a l'unico gasolinero della città poi abbiamo stoicamente affrontato ore di sterrato nella giungla. Unica sosta in localita' San Fernando dove una famiglia vende coca cola ai passanti per arrotondare le entrate derivanti dall'allevamento degli struzzi e delle vacche. Posto speditissimo naturalmente senza elettricita' non si riesce a credere che si possa vivere la'. Poi incontriamo il primo acquazzone dellea stagione. Starà arrivando la stagione della pioggia? I giornali parlano di gravissimo danni causa siccita'. Uffo prende la guida e pochi km dopo c'e' un posto di blocco. Pensiamo che si tratti del solito pedaggio stradale ( queste strade sterrate nella giungla sono a pagamento) e invece e' il polizioto che controlla le patenti. Siamo vicini al confine col Brasile e sembra che il contrabbando sia fiorente. Naturalmente la patente di Uffo e' in macchina nel parcheggio dell'aeroporto di Francoforte sul Meno. Senza scomporsi Uffo dice un momentito, e si allí taña dal posto di blocco. Alessandro acense dalla machina e presenta al poliziotto la propría patente. Il poliziotto prende nota e Hasta luego, gracias, ripartiamo felici. Per fortuna non ha chiesto la patente internazionale perché quella l'aveva solo Uffo. Verso le 5 stanchi morti arriviamo a San Ignacio. Visita alla chiesa che delude un po', si vede subito che il restauro non e' di Roth. Poi due passi fino al lago artificiale dove i bambini fanno il bagno, gli adolescenti flirtano e gli uccelli coloratissimi svolazzano intorno. Tutto sembra un paradiso tropicale. Cena da un ristorante gestito da un ex fuoriuscito politico degli anni 70 che ci fa conoscere la chicha, una bevanda a base di mais ma non alcolica e poi a nanna dopo un paio di caipiriña che piacciono molto a Monica, ma anche a Uffo e a Grace e a Alessandro.

mercoledì 5 ottobre 2011

Missioni I

L'inizio del viaggio non presenta niente degno di nota poi pero' dopo 4 ore arriviamo alla prima missione, San Xavier e rimaniamo di sasso. La chiesa, col campanile, il dettato, la piazza sono meravigliose, davvero belle. Rimaniamo un'oretta verso il tramonto. A quell'ora le cicale cantano, emettono un fischio molto diverso e molto più forte delle cicale mediterranee e c'e da chiederei come si possa resistere a tanto fracasso. Ripartiamo perché Uffo, che fa da guida dice che dobbiamo arrivare a Conception. Diventa buio e la strado piuttosto tortuosa e' piena di buche. Il viaggio e' decisamente scomodo specie per Monica e Uffo che stanno dietro. L'albergo ad Assunption viene scelto in base al prezzo. Andremo nel più costoso che in effetti e' bellissimo su un lato della piazza gesuitica con un giardini interno che di sera profuma di gelsomino. Mangiamo, beviamo due o tre bottiglie di campos de solana e poi a letto.

martedì 4 ottobre 2011

Con Uffo e Monica alle missioni gesuitiche

Affittiamo la jeep e incontriamo Uffo e Monica. Sono una coppia di tedeschi in pensione della Renania Palatinato che erano nel nostro albergo a Potosi.
Gli proponiamo di venire con noi per dividere le spese della jeep e loro accettano così il giorno dopo partiamo in quattro per questo mitico tour delle missioni che Uffo ha già fatto 15 anni fa.

lunedì 3 ottobre 2011

Santa Cruz

Santa Cruz ha una bella piazza centrale, piena di gente e di vita, un centro storico ne bello ne brutto ma pieno di traffico e una enorme periferia che arriva fino ai quartieri dove convivono cavalli, galline, bambini, autobus e negozi di telefonini. Alessandro ha una stupenda panoramica della vita della città quando decide di prendere l'autobus 11 per andare alla stazione a controllare l'orario dei treni. Salta la fermata della stazione e naviga sugli autobus per un paio d'ore finche' esausto arriva a destinazione. Il risultato della giornata e' che per fare il giro delle missioni gesuitiche la cosa migliore e' affittare una jeep.



domenica 2 ottobre 2011

Da Cochabamba a Santa Cruz

Uno dei viaggi più scomodi e lunghi della nostra vita. Alle nove di mattina ci presentiamo all'enorme e incasinata stazione degli autobus. Con il biglietto in mano andiamo all'agenzia danubio2 che ci aveva venduto i biglietti con partenza alle 9,30 e chiediamo da quale piattaforma parte il nostro autobus. Ci indicano il cancello 16. Siamo i soli ma aspettiamo. Alle 9,15 per precauzione, non vedendo nessuno chiediamo informazioni e scopriamo che il nostro autobus e' partito da mezz'ora. Chiediamo il rimborso del biglietto ma preferiscono caricarci in macchina e partire all'inseguimento dell'autobus che raggiungiamo dopo piu' di un'ora. L'arrivo ci era stato garantito per le 5 del pomeriggio e naturalmente arriviamo alle 7,30. Cominciamo ad essere stanchi di Bolivia.

venerdì 30 settembre 2011

Il mercato di Cochabamba


Il mercato di Cochabamba e' il centro commerciale più grande cha abbiamo mai visto. Ci arriviamo a piedi alle nove di mattina e ancora la citta' non si e' messa in moto. Compriamo due cappelli e e ci addentriamo. La confusione aumenta, tonnellate di banane, enormi quantità di angurie, zucche gigantesche, centinaia di metri dedicati ai pomodori, poi si passa al mais, quantità infinite, e piu' si avanza piu' aumenta il caos. Il traffico e' fermo e ovunque ci sono bancarelle di venditori, di pollo fritto, pesciolini fritti, minestre pronte, scaricatori di casse di carne, cereali, ortaggi, con carretta o senza. Gli ambulanti gridano i loro prodotti, sbiancanti per denti e biglietti della lotteria, succhi di ananas o di mango, gelatine, dolcetti. I venditori di stereo sembrano più contrabbandieri. Poi si passa al reparto animali con cuccioli di cane a non finire, galli coloratissimi, tacchini, galline, papere. Quando usciamo dal reparto, inizia la zona dei ciclisti, un vero paradiso del settore con tutti i pezzi immaginabili per centinaia di metri. Le montagne di scarpe da ginnastica fanno impressione. Poi il reparto prodotti tipici come ponchos, coperte andine e ninnoli boliviani. Vestiti, telefonini, cappelli. E ancora carni, piastrelle, sanitari per la casa, vetrai. Camminiamo per almeno un km in entrambi i lati. Il bazar di Istambul non e' nulla al confronto, l'unico paragone e' l'immensità della fiera del libro di Francoforte, ma li' non ci sono gli autobus coloratissimi in mezzo, nessuno grida e non c'e' sicuramente questo sole. Torniamo a casa e ci mettiamo a dormire. I giornali dicono che la marcia contro la strada riparte, per Evo il calvario none' ancora finito.
Nel pomeriggio compriamo i biglietti per Santa Cruz, la citta' più grande del Paese con un milione e mezzo di abitanti. Cosa ci faccia una citta' del genere in mezzo alla pianura tropicale a migliaia di km da San Paolo e Buenos Aires non lo capiamo. Lo scopriremo domani dopo nove ore di pullman.

giovedì 29 settembre 2011

Da Sucre a Cochabamba


L'aereo parte alla cinque del pomeriggio, per cui lasciamo i bagagli in albergo e andiamo fuori città a vedere un parco naturale dove sono state ritrovate varie impronte di dinosauro. Il parco e' un po' troppo holliwoodiano ma in ogni caso la ricostruzione dei sauri a formato naturale e' interessante soprattutto per capire quanto era grande quello grandissimo per intenderci quello che funge da pala meccanica ne gli antenati. Enorme!!! La sera primo viaggio interno in aereo e in 20 minuti siamo a Cochabamba.

I

mercoledì 28 settembre 2011

Sucre il musef

Decidiamo che il giorno dopo andremo a Cochabamba in aereo, andiamo all'agenzia a comprare il biglietto, poi a visitare il museo antropologico musef che ha una collezione di maschere veramente notevole. Non si possono fare foto ma guardatevi questo link http://www.musef.org.bo/opac-tmpl/css/es/musef/mascaras/01.html
La sera conosciamo la prima italiana del viaggio una psicologa napoletana di nome Francesca. Viaggia sola ma non abbiamo gli sessi orari, forse la rivedremo a Cochabamba

martedì 27 settembre 2011

Sucre


Sucre e' la capitale amministrativa dello stato. E' una bella citta' coloniale con case basse e bianche. Nella piazza principale, c'è un presidio permanente di studenti universitari contro la costruzione della strada tra cochabamba e il nord del paese. Mercoledì scorso gli abitanti indigeni della riserva naturale interessata dalla strada sono stati duramente caricati dalla polizia. Il sindacato ha organizzato uno scoperò generale di protesta e oggi il corte per la citta' e' numerosissimo con striscioni sindacali e studenteschi. Comprendere la situazione politica boliviana e' sempre piu' difficile e così ci abbandoniamo ai piaceri che ci sono stati negati nelle ultime due settimane, te con torta al limone, spuntini nei ristoranti panoramici e naturalmente visita all'unico museo che non chiude per sciopero. Si tratta del chiosco francescano su una collina che domina la citta'. Molto interessante soprattutto il coro ligneo della chiesa. La sera finalmente ci rincontriamo con Marta e Ivert e per festeggiare andiamo a berci come da tradizione tre bottiglie di rosso boliviano al ristorante in collina.

I

lunedì 26 settembre 2011

Sucre


Con l'autobus partiamo per Sucre, Marta e Ivert ci hanno scritto una mail dicendoci che e' bellissima. Prima di partire siamo sorpresi ella bellezza, efficenza pulizia della stazione degli autobus di Potosi. Sembra di essere a Francoforte e non sulle montagne boliviane. Il viaggio dura 5 ore e si scende a 2500 metri. Quando arriviamo siamo in un altro mondo. Le poverissime case di fango della montagna boliviana lasciano il posto a ville con piscina, le strade sono tutte asfaltate e il traffico automobilistico e' intenso. Il clima e'decisamente migliore e soprattutto si respira con facilita'. Dopo varie notti d'inferno a 4000 metri con la bocca secca e continui risvegli con la sensazione di affogare, di soffocare per la mancanza d'ossigeno, Sucre ci sembra un paradiso. La sensazione e' confermata quando entriamo nel nostro nuovo albergo con patio con giardino tropicale e pareti arancio. La stanza e' luminosa, spaziosa e aerata. Un paradiso. La sera ristorante nella sede dell'Alliance francaise, dove ci permettiamo una zuppa di pesce che neanche in Corsica. I camerieri sono cordiali e sorridenti, sanno cosa fare, nessun paragone con i musoni, imbranati della montagna.

domenica 25 settembre 2011

Potosi

2Stamattina Tonio,un ex minatore oggi guida turistica, ci ha portati in giro per la città raccontandoci la storia di Potosi, che e' la storia della Bolivia e che in molti casi e' la storia del mondo moderno. Potosi nel 17imo secolo aveva più abitanti di Londra e Parigi, era un centro mondiale di estrazione dell'argento e aveva la vivacità commerciale, culturale e politica di una capitale. Ci vivevano genti arrivate da ogni dove in cerca di fortuna, dentro una cornice di schiavitù e chiusura sociale, con conseguenti continue rivolte, e tentativi di cambiamento. Ora e' governata dal partito dei minatori che si chiama Accion social fondato e guidato da un certo Joaqunio, ex sindaco ed ora senatore. Secondo Tonio i minatori sono classe media e non partecipano al governo di Evo Morales perché non hanno nessuna impronta indigenista, tratto invece che caratterizza il governo del MAS. La Bolivia appare politicamente sempre più' complicata. Sempre in mattinata abbiamo visitato insieme ad amici, Marta e Iver, che da qualche giorno viaggiano con noi, la storica zecca della città, molto interessante con una serie di macchine storiche per il conio della moneta dal 16imo al 20imo secolo che utilizzavano nell'ordine, forza umana, animale, vapore e elettricità. Pomeriggio di scacco.


Inviato da iPad

venerdì 23 settembre 2011

Verso Potosi

La mattina prendiamo l'autobus per Potosi. Nuovo viaggio da favola con tre o quattro passi abbondantemente sopra i 4000 metri e passaggi dentro quebrada bellissime. Piu' della meta del percorso e' su strada sterrata, ogni tanto si incrociano villaggi minerari impensabili ma ognuno, per quanto misero e sperduto, ha uno stadio e un campo coperto per il basket e la pallavolo. Lo sforzo del governo per migliorare la strada e' imponente, moltissimi sono i cantieri aperti per sbancamenti, costruzione di ponti, asfaltature. Dopo 5 ore arriviamo a Potosi.
Questa citta' ha una storia notevole alle spalle. E' alla base del Cerro Rico, un enorme cono alto più' di 5000 metri che custodiva nella sua pancia varie tonnellate d'argento che gli spagnoli hanno ampiamente sfruttato grazie a schiavi africani e indiani per più di tre secoli (8 milioni di morti sul lavoro!!).


Intorno al vulcano Tulupa

Stamattina abbiamo fatto una passeggiata bellissima costeggiando il vulcano lungo la strada sterrata che da Coqueza Porta a Tahua che e' il villaggio più' grande di questa regione aymara. A Tahua pero' non siamo arrivati perché durante il percorso ci siamo fermati al museo locale inventato prodotto e gestito da un simpatico e sordo signore aymara che da anni raccoglie anfore antiche, mummie e pietre totemiche disseminate nei campi intorno. Non ci ricordiamo il nome del signore ma senz'altro sta facendo un lavoro importantissimo. Lui vive nella sua casa accanto al museo fatta in pietra, col tetto di pelle di lama ricoperta di frasche. Dopo il museo abbiamo camminato ancora per un'ora ma poi siamo dovuti tornare perché la jeep che ci doveva riportare a a Uyuni partiva poco dopo le due. Il ritorno l'abbiamo percorso sulla striscia verde del pascolo che separa la montagna dal salar. Sono state due ore magnifiche sotto un sole imponente in mezzo a Lama, vigogna, flamingos e altri uccelli. All'albergo l'autista ci aspettava un po' impaziente, abbiamo mangiato con i nostri nuovi compagni di viaggio e poi siamo partiti. Nuovo attraversamento del Salar fino all'isola Incahaua, bellissimo scoglio verde ricoperto di cactus giganti ma che noi non abbiamo visitato perché troppo stanchi dalle quattro ore di cammino mattutino ( siamo sempre a 3700 metri e si fa fatica). Poi ritorno ad Uyuni. Della sera precedente va ricordato il cielo stellato che non ha paragone con ogni cielo visto prima. La via lattea scolpita nel nero e le migliaia di stelle davano un'impressione che non e' banale definire eccezionale.


Inviato da iPad

giovedì 22 settembre 2011

Coqueza

Siamo a Coqueza, sono le 7 di sera. Quando ci ha salutato, Rey, un vecchio signore dell'Oregon con barba e capelli lunghi e bianchi, ci ha detto, "vai, siete alla frontiera, buon divertimento". Coqueza e' un villaggio Aymara, sulla riva nord del salar, alle pendici del vulcano Tunupa. Ci si arriva solo in fuori strada, o con il cammion del villaggio che porta le donne al mercato il giovedì mattina e le riporta a casa il venerdì. Ci si arriva come si arriva a Stromboli, o a Capraia, come si arriva a terra da un viaggio in barca. Il salar, bianco come il sale ( essendo fatto di sale) e' enorme. Lo attraversiamo con Albert, ora autista ma vero scalatore, uno che ha salito l'Aconcagua. Il vulcano sembra un enorme altare, una divinità con una spruzzata di neve che sembrano i capelli del Dio del giudizio universale. Davanti a Coquesa, prima del bianco del lago c'è una striscia verdissima di erbetta dove pascolano i lama. Dietro un villaggio di pietra e poi la strada che sale al vulcano. In 4 ore si arriva a 5400 metri, basta averne voglia. Noi con un po' di foglie di coca, che ormai utilizziamo con piacere, siamo saliti per poco più di un 'ora. Al ritorno ci ha fermato Walter all'entrata del paese: eravamo saliti verso la montagna senza pagare la tassa di soggiorno che le 15 famiglie impongono ai turisti. Siamo alloggiati in un albergo di costruito col sale, anche il letto e' di sale. Fa un freddo barbino ma il tramonto e' stato bellissimo con il salar che diventava, azzurro, poi grigio e con gli ultimi flamingos che tuffavano il becco nell'acqua gelida del Salar de Uyuni.
Stamattina prima di arrivare qui, a Colchani, abbiamo visitato una fabbrica del sale e grazie agli interessi commerciali vivacissimi di Ray abbiamo capito come funziona l'economia salifera degli abitanti di questo paesino sul lato est del salar. Poi una lunga corsa in jeep fino a qui dove abbiamo salutato i nostri compagni di viaggio (oltre a Ray e Albert, due ragazze tedesche Regina e un'altra di cui non ricordiamo il nome, un giapponese e un canadese di origini cinesi) e ci siamo avventurati lungo la frontiera. In albergo non c'è acqua ora e gli ospiti sono un po' delusi.

Inviato da iPad

martedì 20 settembre 2011

Uyuni

Oggi dobbiamo trovare il modo di visitare il famoso Salar, un'estensione di sale immensa che sembra bellissima. Appena alzati pero' Alessandro sente un prurito sul braccio. Si tratta di qualche puntino rosso. Saranno pulci? Pidocchi? In farmacia la signora pensa che non si tratti di allergia e ci da' delle creme contro i pidocchi. Siamo abbattuti, affranti. Come si fa con i pidocchi e 3600 metri a 6 ore di pista da ogni città? Non e' possibile, torniamo a lavacri in albergo, portiamo tutto in lavanderia, puliamo gli zaini. Poi il prurito passa, Grace non mostra segni di morsi di pidocchi o pulci, forse si tratta di allergia. Ci riprendiamo, fissiamo con un tour operator un tour di due giorni nel salar e ci prepariamo alla partenza.


Inviato da iPad

lunedì 19 settembre 2011

Atocha

Siamo partiti da Tupiza e subito abbiamo capito che il vero viaggio in Bolivia stava cominciando. Abbiamo scelto di andare ad Uyuni con un autobus di linea. Il giorno prima avevamo letto sul giornale locale che i fondi per asfaltare la strada erano stati dirottati su un'altra opera ma pensavamo che la strada fosse messa male ma che avesse gia' conosciuto l'asfalto. Non era cosi', appena usciti dalla stazione dell'autobus abbiamo attraversato lo stradone, ovvero il pezzo della Panamericana che unisce La Paz all'Argentina e subito abbiamo svoltato a destra per una strada sterrata del tutto identica a quelle che avevamo visto nella passeggiata a cavallo. Sull'autobus eravamo gli unici turisti, gli altri enormi donnone rubiconde con la bombetta e piccoli minutissimi mariti al fianco. Cominciamo a salire, saliamo, saliamo ancora, il GPS segna 3900 metri, sembra che al salita finisca ma dietro la curva la strada sale ancora. Alla fine supereremo i 4200 metri. Alla nostra destra compare un cono altissimo, sembra il Cervino, chissà come si chiama, chissà quanto e' alto. Per qualche ora gli giriamo intorno mentre la strada sale e scende per le valli brulle e desolate. Dopo 3 ore raggiungiamo Atocha. Squallida e povera città di montagna nella polvere e nel nulla. L'autobus si ferma facciamo una sosta, scendiamo. Le donne tranquillamente si tirano giù le mutande si accovacciano e fanno la pipi' incuranti del luogo pubblico. Alcuni maialini razzolano intorno mentre i bambini giocano dentro i contenitori arrugginiti dell'immondizia. L'autobus ha qualche problema agli ammortizzatori e 4 o 5 meccanici, sdraiati sotto il motore nella polvere maneggiano con pietre e attrezzi vari per rimettere tutto a posto. Dopo mezz'ora si riparte. Saliamo ancora un po' e poi l' inaspettato; entriamo nel deserto, un vero deserto, sembra il Sahara, la strada adesso e' solo una direzione di marcia e si allarga per decine di metri nella sabbia. Siamo su un altopiano, le nuvole non riguardano lo spazio in alto, ma quello di lato. Spuntano da sotto l'orizzonte dove la pianura finisce. Qualche picco e' coperto di neve. Di tanto in tanto greggi di Lama ci indicano che un villaggio, una casa e' vicina. Branchi di Vigogne ( lama selvatici, tipo cerbiatti) contribuiscono ad aumentare il senso di esotico. Vediamo qualche jeep dei tour operator sfrecciare lonatano. Qualche volta l'autobus si ferma nei villaggi e le donne scendono e corrono a casa.
Arriviamo a Uyuni verso le 5 di sera, cerchiamo un albergo e andiamo a mangiare. Scopriamo la sopa de quinoia. Buonissima.

Inviato da iPad

domenica 18 settembre 2011

Tupiza

Siamo arrivati a in Bolivia da 4 giorni. La città e' un piccolo e fiorente centro commerciale sul fiume Tupiza. Non e' granché come città, si vede che e' una tipica città coloniale spagnola ma senza lo splendore di molte di esse. E' una sonnacchiosa città provinciale che si anima col mercato per le poverissime popolazioni contadine dei paesini dei dintorni. Dal punto di vista paesaggistico Tupiza e' sorprendente. Sta a 3000 metri di altezza in un kanion che qui chiamano quebrada di rocce rosso fuoco. Abbiamo abbandonato Katja che ci aveva accompagnati negli ultimi giorni perché lei aveva voglia di farsi un giro di 4 giorni in fuoristrada attraverso le montagne del sud Bolivia per finire al mitico salar di Uyuni. Noi abbiamo preferito prendercela comoda nel nostro albergo con piscina e abbiamo iniziato con un giro a cavallo di tre ore. La cosa ci e' piaciuta molto e così abbiamo deciso di farne un'altro di due giorni. A parte il lato avventura, il tour ci ha portato a vedere posti che non avremmo mai pensato possibili. I paesini intorno a Tupiza sono polverosi gruppi di baracche di fango con tetto di fango e paglia. Abbiamo dormito in un villaggio di 75 abitanti chiamato Espicaya con una bellissima chiesa sotto una roccia lunare. Per arrivare a Tupiza ci sono 25 km di strada sterrata e il paesino più vicino con un negozietto e' a 10 km, si chiama Cacha Bamba. Dopo due giorni con i nostri cavalli, le nostre guide e una tedesca di Amburgo di nome Ina, siamo tornati a Tupiza rotti, disidratati e polverosissimi. Qui e' un deserto di montagna e siamo al colmo della stagione secca. Niente di grave, stamattina siamo di muovo in piedi o meglio sdraiati al bordo della nostra piscina a leggere il giornale. Domattina partiamo per Uyuni.


Inviato da iPad

martedì 13 settembre 2011

Tilcara e dintorni

Oggi abbiamo visitato un sito archelogico qui vicino. Mostra gli scavi di una vecchia città abbandonata da cinque secoli chiamta Pulcara' (fortezza in quechua). Gli scavi effettuati da ricercatori del primo novecento ( Debenedetti, Casanove e Ambrosetti) non ci sono piaciuti troppo. Tutto e' stato ricostruito e le case del sito sembrano migliori di quelle utilizzate oggi da contadini di qua. Poi siamo stati al museo di Tilcara ma non abbiamo scoperto cose particolarmente interessanti. Alle 12 siamo tornati in albergo per finire il lavoro di Grace. Domani partiamo per la Bolivia forse viene con noi Katja una ragazza tedesca che abbiamo incontrato al bar.


lunedì 12 settembre 2011

Tilcara

Stamattina Alessandro e' andato a piedi e visitare le comunità che abitano sopra Tilcara. Dopo 2 ore di marcia e' arrivato ad una scuola elementare dove 16 bambini imparano in una pluriclasse tenuta da un maestro di nome Richard che va ogni giorno a piedi fin lassù. In quattro ore di lezione al giorno i bambini cercano di imparare a stare al mondo, con scarsi risultati, dice Richard. La comunità si chiama Ayllu Mama Qolla, conta 80 membri distribuiti in 11 case sparse su un territorio sopra i 3000 metri piuttosto arido e contraddistinto da cactus. Sono di lingua quechua e da prima degli Inca cioè da più di 700 anni hanno costruito delle terrazze di pietra sulla montagna dove coltivano i loro prodotti.
Ieri sera concerto in un ristorante della piazza principale di tilcara. Suonavano i Tar Puy, un gruppo folk di Marmara', un paese impossibile a 20 km da Tilcara. Il gruppo faceva musica andina, il pubblico era composto in gran parte da turisti argentini oltre che da qualche straniero (Spagna, Francia, Israele, Stati Uniti) e sembrava molto coinvolto. Ale ha provato a masticare le foglie di coca offerte da una coppia apparentemente con lei trans e lui tilcaregno in visita alla famiglia Le foglie sono sta molto utili per la passeggiata del giorno dopo.
Stasera alla nostra pensione c'è una parrillada cioè un barbecue ma non sappiamo se parteciperemo. Siamo un po' asociali ma Ale non mangia carne e Grace e' schifata all'idea di mangiare carne di Lama che qui e' molto diffusa. Vedremo.


Inviato da iPad

domenica 11 settembre 2011

Jujuy

Jujuy alla fine e' stata un po' una delusione. La città non offre un granché. E' la prima città veramente del terzo mondo del nostro viaggio e non avendolo capito subito siamo finiti in una pensione piuttosto misera anche se molto economica. Il museo storico era pero' molto interessante e finalmente abbiamo capito la storia Argentina. L'indipendenza e' arrivata come in tutto l'ex impero spagnolo quando nel 1810 Napoleone invade la Spagna e detronizza il re. Dal Messico alla Patagonia tutti insorgono e l'Argentina guidata dal Generale Belgrano viene liberata. Dopo il congresso di Vienna gli imperiali ritornano e sconfiggono due volte Belgrano ma alla fine ce la fanno. Da quel momento iniziano 30 anni di guerra civile per determinare il ruolo politico della capitale rispetto alle provincie federate che sono di fatto comandate da caudillo locali. Dopo inteminabili guerra in cui la parte del leone e' stata giocata dal generale Mitre, Buenos Aires riesce ad imporsi e inizia il periodo di progresso, che con capitali inglesi e manovalanza italiana immigrata fanno dell'Argentina uno stato moderno. A parte la storia, ottima cena con buon vino, ( stavolta abbiamo abbandonato il nostro caro malbec per concederci un misto di malbec e altri vitigni) e poi a nanna. La mattina dopo qualche problema per via dello stato orrendo in cui versava la città. Dopo un sabato sera di bagordi era sporchissima e non c'era un bar aperto per la colazione. Sul pullman abbiamo dediso di non scendere a Purmamarca,un piccolo villaggetto di montagna in mezzo alla quebrada ma di proseguire per Tilcara. Tilcara e' a 2500 metri circondata da montagne brulle, ma dai colori magnifici. E' un villaggio andino con le donne con le bombette che masticano coca. Non sappiamo ancora come sarà la Bolivia ma deve essere un po' così. L'albergo e' gestito da una famiglia portegna che si e' trasferita qui qualche anno fa. La figlia si e' sposata un turista italiano di passaggio e ora insegna spagnolo a Milano. Grace come al solito ha cominciato a lavorare. Nei dintorni ci sono cose interessanti da vedere come villaggi pre incamici e cascate nei monti. Vedremo

Inviato da iPad

venerdì 9 settembre 2011

Cafayate e dintorni

Ieri l'altro siamo stati in bicicletta a vedere una cascata, ma era troppo lontana e dopo 5 km di sterrato ci siamo fermati perché non ce la facevamo più. Fuori Cafayate siamo proprio nel terzo mondo. La cosa più' interessante della scampagnata e' stata la vista di un tipico altare in pietra costruito dai discendenti delle popolazione indigene che ancora venerano la pacha matta, la madre terra. Un tipo ci ha spiegato che lui non ha nessun contatto col cristianesimo ma segue solo questa arcaica religione. Tornati a Cafayate abbiamo visitato il museo archeologico tenuto da una simpatica vecchietta Helga Mozzoni, moglie di Rodolfo Bravo morto 20 anni fa e appassionato ricercatore e collezionista di vasi funerari e suppellettili vari della popolazione autoctona. Helga e' un tipo interessante con molta voglia di parlare di tutto. Il suo consiglio e' stato di andare a visitare San Carlos (Borromeo) un paesino a 20 km.
In effetti Alessandro ci e' andato il giorno dopo mentre Grace e' rimasta in albergo a lavorare. Causa il lavoro di Grace abbiamo deciso di rimanere a Cafayate 2 giorni di più.. Pero' intanto abbiamo imparato a muoverci con i micros, i taxi collettivi che non costano meno egli autobus ma sono più veloci e forse comodi. Lo scopriremo domani nel lungo trasferimento a Jujuy e forse fino a Parmamarca, un villaggio nel centro della quebrada de Humahuaca che le guide e le testimonianze indicano come bellissimo e d'altra parte e' considerato dall' UNESCO patrimonio storico e culturale dell'umanita'


Inviato da iPad

lunedì 5 settembre 2011

Cafayate

Siamo partiti per Cafayate dopo il giro dei musei di Salta. Molto bello e interessnte il museo storico sulla piazza principale, le carrozze, i mobili in stile brasiliano imperiale, le informazioni sull'attraversamento della Pampa da Buenos Aires a Salta che richiedeva 40gg con la carrozza. Il servizio postale e'attivo in Argentina dalla fine del 700 con posti di ferma e di ristoro ogni 4 /5 miglia imperiali cioè' una 20ina di KM. Bello anche il terrazzo del museo in un vecchio palazzo coloniale. Il museo antropologico dell'alta montagna ci ha dato altre intersaanti informazioni sugli Inca e sulle loro credenze e riti religiosi nonché sulla loro organizzazione socio politica. Di certo ammazzavano i bambini ubriacandoli con liquore di mais per fare sacrifici religiosi

Il viaggio verso Cafayafe e' li ghetto 180 KM per 4 h di autobus puzzolente ma la quebrada de concias e' pittorescaa. Il primo impatto con l'interno rurale dell'Argentina mostra una povertà inaspettata sembra più il Messico tropicale che non la romantica città del tango e di Borges.


sabato 3 settembre 2011

Salta


Oggi siamo stati in giro a piedi per Salta, bella città coloniale che ci ha ricordato molto le città messicane. Mangiato minestra di verdura ottima che il cameriere ha definito boliviana. Abbiamo visitato il museo antropologico sotto le scale che conducono al colle sovrastante la città. Al museo abbiamo scoperto che gli Inca sono arrivati qua nel 1450 e siccome gli spagnoli li hanno sconfitti già nel 1536 il loro impero non e' durato neanche 100 anni. Prima qui vivevano popolazioni locali dal 10 mila A.C. Quello popolazioni, secondo il museo, ancora vivono nelle valli qua attorno con una economia di sussistenza agricola. Domani andremo a Cafayate, (pronuncia cafajate) e vedremo cosa e' questa Argentina. Di certo molto diversa da B.A., la gente India e' molto piu' numerosa anche se non maggioritaria. Le donne sembrano spagnole, molto truccate e curate e non ricordano le acqua e sapone proletarie della metropolitana di Buenos Aires. Nelle bancarelle si cominciano a vedere i tipici prodotti di lana andini. La cattedrale era magnificente e piena di gente alla messa nonostante fosse lunedì. Le code alle banche ovunque e stranissime. Il mercato coperto pienissimo e vivace come deve essere un mercato coperto. Una cotoletta alla milanese impanata e fritta con verdura costa 3 pesos cioè 0,50€
Domattina andiamo a vedere il museo storico poi all'una prendiamo l'autobus per Cafayate.

Inviato da iPad

venerdì 2 settembre 2011

Ricominciamo in Sudamerica

Riprendiamo il diario con il viaggio attraverso il Sudamerica. Dopo 15 giorni di lavoro a Buenos Aires, Alessandro e' stato raggiunto da Grace e il giorno dopo, il 2 settembre 2011 siamo partiti in aereo per Salta, una città del nord ovest dell'Argentina.


Inviato da iPad