lunedì 23 aprile 2012

Trovato!

Per arrivare a Sapzurro ci sono due modi. O si prende l'aereo a Medellin, si atterra a Capurgana, si sale sul carretto a cavallo e si va al porto da dove parte la barca che porta al molo di Sapzurro oppure si va a Turbo in autobus, si sale sulla barca che dopo tre o quattro ore scarica al porto di Capurgana. Da qui è possibile anche proseguire a piedi per un sentiero che scavalcando la collina raggiunge la meta in un'ora e mezzo. Noi abbiamo scelto questa seconda soluzione. Quando si arriva a Sapzurro poi non si deve più fare nulla perché è il posto che tutti starebbero cercando. Geograficamente si tratta di una baia di tre Km di circonferenza intorno ad un mare verde smeraldo circondato da colline che scendono fino alla riva, ricoperte da una rigogliosa vegetazione tropicale. Sul lato est della baia abita il Bola, l'aristocratico intellettuale possidente terriero, matto e intrigante che riceve in mutande nella sua cabaña e inizia subito a parlare di poesia, Bolivar e storia locale. Più avanti verso ovest, c'é la spiaggia e nella zona di mare tra il Bola e la sabbia sono ancorati i velieri. Segue un lungomare con quattro chalet (quello in vendita, quello bianco, quello del Cileno e quello di Mario e Lina dove siamo ospitati). Proseguendo c'é il ristorante del tedesco che però vive sulla sua barca tra i velieri, e poi il villaggio che é in ottime condizioni con chiesa azzurra, piazza davanti al molo, qualche ristorante, sala biliardo e tre o quattro alberghetti. Il tutto termina in una nuova spiaggia che lascia il campo alla costa ovest dove, sotto le piante, stanno costruendo qualcosa. Dietro il villaggio la salita della collina e il cartello con BIENVENIDOS A PANAMA. Dato il posto si passa il confine anche senza documenti. I soldati dei due paesi prendono nota del nome e cognome del viaggiatore e si scende la scala fino a La Miel, avamposto panamense sul Darien Gap (nome di questo territorio). Diamo tutte queste informazioni perché per quanto ci riguarda noi ci fermiamo qui e quindi forse vi capiterà di venirci a trovare. Naturalmente non esistono le automobili. A Capurgana ci sono 4 o 5 moto ma visto che le strade carrozzabili non sono più lunghe di tre km, il mezzo é un po' inutile. I cavalli sono invece numerosi. Capurgana vista da Sapzurro é un discreto centro commerciale, in realtà é un paesino di tremila abitanti. Non é male, ci vivono anche due italiani con ristorantino e pensione che ci hanno raccontato dei traffici di coca, naturalmente copiosi su questa rotta, della presenza di guerriglia, controguerriglia, esercito e corruzione che offrono alla zona quel fascino della frontiera così pittoresco (a parole). Il problema principale della zona é costituito dalla centrale elettrica del circondario che funziona a singhiozzo creando molti problemi soprattutto ai venditori di gelati e ai turisti con camera senza finestre e con aria condizionata. Nei prossimi giorni cercheremo di visitare i villaggi degli indiani Kuna che vivono nella zona e magari di raggiungere le mitiche isole dell'arcipelago di San Blas. Ma qui siamo veramente a Macondo e più che efficienti servizi di comunicazione garantiscono cent'anni di solitudine (Sapzurro l'hanno fondata nel 1898, tra loro c'era il nonno del Bola).

mercoledì 18 aprile 2012

Mompos, Tolu e Turbo

Sarebbe da raccontare con lo stile di Garcia Marquez perché solo vedendo questa languida, impalpabile e nostalgica lontananza si percepisce pienamente la cronaca di una morte annunciata. Mancando la classe e lo stile di Garcia Marquez si può solo dire che la malinconia di questo posto é inarrivabile. Gli antenati di questi borghesi e urbanizzati signori saranno sicuramente stati attivi e passionali coloni attratti dalla terra, dal commercio e dall'oro che le terre del nuovo mondo prospettavano. E a quei signori forti, volitivi e vigorosi deve anche essere andata bene a giudicare dalle case, le chiese i conventi e gli ori di Mompos. Ma poi la storia ha cambiato direzione, il commercio sul fiume Magdalena ha dimenticato la centralità che gli forniva l'impero spagnolo, la terra ha perso valore e le vene d'oro si sono esaurite. E così in fondo a questo caldo e umidissimo delta sono rimasti gli artigiani, abilissimi a cesellare l'oro o intagliare mobili o a forgiare ferro battuto e a modellare stucchi ma il significato del fare si é perso perché Mompos é una città ormai senza senso, senza strade e comunicazione, senza ricchezza che non sia la sua gente fatta di una borghesia urbana annoiata che solo Garcia Marquez può raccontare. La città sta su un ramo di un fiume lungo 1600 km, navigabile per 900. Con una barca abbiamo visitato un poco qua intorno in un regno agreste un po' paludoso, fatto di uccelli di tutti i tipi, vacche bianche con la gobba di grasso che ricordano l'india, pescatori della laguna abituati a convivere con le piene del fiume e le inondazioni lunghe anche sette mesi, Iguane a migliaia, aquile, paperi e villaggi poverissimi dove, unico posto in questo viaggio, abbiamo potuto constatare le pance gonfie della denutrizione infantile. Abbiamo lasciato Mompos e il Delta dopo tre giorni e con un trasferimento in parte via fiume, in parte in taxi e in parte in autobus siamo ritornatati sulla costa. Per una settimana siamo stati a Tolu, centro turistico senza infamia e senza lode. Da qui abbiamo navigato per lo splendido arcipelago di San Bernardo e visitato le spiagge dei dintorni, belle, tropicali, spiaggia bianca e palme. Poi siamo ripartiti, destinazione Turbo ultimo porto per raggiungere il Darien gap e il confine con Panama.

mercoledì 11 aprile 2012

La cumbre de America

Lo sapevamo che era pericoloso farsi pubblicità. Ma non immaginavamo che dopo il successo dell'intervista e del blog ci coinvolgessero tanto. Ha iniziato Cristina (Presidenta dell'Argentina) con un messaggio Skype: "Come, siete in Colombia? Dobbiamo approfittarne, voglio senz'altro incontrarvi". Non si fa in tempo a rispondere che squilla il telefono, era Chavez (Presidente del Venezuela) : "Dai compañeros, approfittiamone che siete da queste parti, vediamoci, magari viene anche Evo (Morales, Presidente della Bolivia). Un minuto dopo ci arriva una e-mail dalla casa bianca: "Mi dice Ortega (Presidente del Nicaragua) che siete da queste parti e propone di vederci tutti insieme magari a Cartagena così non vi scomodiamo troppo. Che ne dite?". Firmato Barak Obama (Presidente degli Stati Unita d'America). Alla fine abbiamo dovuto accettare, vengono giù tutti i Presidenti del continente per sentire una nostra opinione e per il piacere di incontrarci. Per cui in questi giorni saremo un po' presi e magari meno disponibili per gli intimi. Ci auguriamo che possiate scusare il disturbo.

In ogni caso per ora siamo venuti a Santa Cruz de Mompos dove Rosi nel 87 ha girato Cronaca di una morte annunciata. Una città coloniale sul delta del fiume Magdalena, sonnachiosa ed elegante ci si arriva dopo un viaggio di 6 ore di sterrato da Valledupar.
Lungo la strada una pianura dedicata all'allevamento bovino punteggiata di enormi alberi tropicali, di quelli che da noi mettono nei parchi cittadini, con il tronco poderoso e il cono d'ombra grande come un campo di calcetto. Ogni tanto paesini di una Colombia povera e finora non vista, qui sembra veramente America Latina, con baracche per case e cavalli o asini come mezzo di comunicazione. Tutto naturalmente costa molto meno che sulla costa. Ah Colombia, misteriosa e sempre diversa.

domenica 8 aprile 2012

Marzo in Colombia

8 aprile


Mamma mia é passato più di un mese dall'ultimo aggiornamento. Vediamo di riassumere i nostri movimenti delle ultime settimane. Abbiamo lasciato La Boquilla il 9 di marzo perché per quanto stessimo veramente bene e ci fossimo ben ambientati ci sembrava fosse venuto il momento di scrollarci di dosso la sedentarietà. Con un taxi collettivo ci siamo trasferiti a Santa Marta, sempre sul mare ma un 200 km più ad est, verso la frontiera col Venezuela. La città non é molto grande, ma é un porto commerciale importante. È costruita su una bella baia con mare blu intenso e spiaggia sotto le palme. Il centro storico è carino anche se non paragonabile alla magnificenza di Cartagena. Ci é morto nel 1830 Simon Bolivar il libertador degli attuali stati di Venezuela, Panama, Ecuador, Peru e Bolivia dall'impero spagnolo. Nella finca appena fuori città in cui è morto oggi c'é un interessante museo sulla sua vita e una sorta di altare della patria di tutti i sudamericani.

Alle spalle della città inizia una massiccio montuoso che supera i 6000 metri, la Sierra nevada, regno dell'etnia Tayrona che ancora oggi la abita preservando una cultura precolombiana evidentemente molto ricca. Noi ci siamo stabiliti in una fantastica pensione a Taganga, 5/6 km da Santa Marta. Il villaggio é incantevole ai piedi della montagna su una insenatura che ricorda la semiarida costa sarda. Gli abitanti sono pescatori poveri ma molti lavorano col turismo che sembra essere una notevole fonte di reddito. Taganga é entrata a far parte del cosiddetto gringos trail e centinaia di ragazzi europei e nordamericani passano qui qualche giorno del loro viaggio in Colombia dando al paese l'aspetto di un college e alle sue notti i colori della festa. Anche qui Grace doveva lavorare poi Ale si é beccato un virus per cui ci siamo fermati fino al 27 marzo.

Prima di lasciare la regione abbiamo fatto un giro nel selvaggio parco naturale Tayrona, un paradiso terrestre senza strade dove ci si muove solo a piedi tra spiagge mozzafiato e torrenti verdissimi dove centinaia di trampolieri beccheggiano felici gli avanotti che madre natura fornisce loro a milioni. Tra una spiaggia e l'altra possono incontrarsi giardini di palme, bananeti e montagne ricoperte di foreste dove albergano scimmie, opossum, iguane, pappagalli e naturalmente indigeni tayrona, vestiti di cotone bianco con i capelli lunghi e neri sciolti sulle spalle che sfrecciano sui loro cavalli albini tra le spiagge di corallo. Insomma il parco ci é piaciuto molto e ne siamo usciti solo per esaurimento contanti.

La tappa seguente é stata la città di Riohacha, 180 km ad est di Santa Marta, capitale della semidesertica penisola della Guajira che la Colombia condivide col Venezuela.
La città non é bellissima ma si vede che qui si arriva alla fine del mondo civile. Le automobili sono pochissime e i bambini sono in strada a giocare. Il mare non é entusiasmante ma i pesci che i pescatori offrono sono uno spettacolo, molto più grossi che negli altri porti, spesso si vedono i merlin (quello dell'uomo e il mare) ma anche altre razze giganti di cui é difficile ricordare il nome. Si mangia l'aragosta a poco prezzo nei ristoranti sul lungomare e soprattutto sul lungomare cominciano a vedersi i wayuu, la gente che abita da sempre questa regione senza che nessuno sia mai riuscito a sottometterli.

Dopo due giorni di studio sul da farsi martedì 3 Aprile siamo partiti per Cabo de la Vela. Ci siamo arrivati dopo tre ore di attraversamento del deserto sul cassone di un camioncino che trasportava mercanzie. I wayuu vivono di pesca lungo la costa in baracche di legno. Anche il paesino di Cabo de la Vela non é altro che un gruppo di baracche ma l'incanto della sua spiaggia ha sviluppato il turismo e così molti wayuu affittano tettoie di paglia sulla spiaggia per appenderci l'amaca, oppure baracche di paglia con il letto. Noi fortunatissimi avevamo una cameretta con bagno proprio sul mare.
Il posto era di un incanto senza fine ma siamo nella settimana santa che in Colombia equivale al nostro ferragosto e il villaggio ha cominciato a riempirsi. In Colombia il giovanilismo non si é sviluppato, i ragazzi girano a coppie di fidanzati, al massimo in quattro. Qui il casino viene dalle sterminate famiglie. Si muovono in nuclei compatti tri o quadrigenerazionali, si pigiano all'inverosimile nei loro gipponi (il turismo é riservato alle classi abbienti) e poi esplodono sulla spiaggia e nei ristoranti con tavolate infinite. Il massimo della festa si ottiene amplificando la musica a diecimila decibel grazie ad apparecchiature montate sul gippone. Poi la famiglia estrae un enorme contenitore di birre e si piazza in piedi, bottiglia di birra in mano intorno alle enormi casse acustiche. E così si va avanti fino a tarda notte. Giovedì santo il numero di mostruo famiglie, gipponate, birrate agli ulltrasuoni aveva superato la sostenibilità del Cabo de la Vela. Noi siamo stati cacciati dalla nostra cameretta sul mare per far posto a 32 familii che si sono sistemati alla meglio. In cambio ci hanno messo a dormire in piccionaia insieme a seicentoottantatre altri turisti sistemati su altrettante amache. Abbiamo capito che non c'era più posto per noi in alta Guajira e così la mattina alle quattro, sotto una luna piena mozzafiato che si specchiava nel caribe immobile, abbiamo ripreso il nostro camioncino e in tre ore di cassone siamo tornati in città a Riohacha.

L'8 aprile, giorno di pasqua siamo partiti per Valledupar da dove scrivo.