venerdì 15 giugno 2012

USA-AMISH E NEW YORK

Da piu’ di un mese siamo negli Stati Uniti, o meglio eravamo, perche’oggi siamo arrivati in Canada. 

Ma andiamo con ordine. Gli USA ci hanno accolto calorosamente a uno degli aereoporti di Washington. Durante la prima settimana siamo stati con la famiglia della sorella di Grace, Path e il marito Carl; abbiamo ripreso possesso del camper che era in buone condizioni e siamo ripartiti.

Gli americani sembrano stare bene, se possibile un po’ ingrassati; ormai, se si sta attenti, intorno ai piu’ ciccioni si puo’ scorgere la lieve modifica della curva spaziale come previsto dalla teoria einsteiniana della relativita’. Non sembrano molto agitati per le prossime elezioni presidenziali o almeno i segni della campagna elettorale sono meno evidenti di due anni fa quando andavano incontro alle elezioni di mid term. Probabilmente quindi rieleggeranno l’uomo che in meno di quattro anni e’ riuscito perfettamente ad esportare la crisi economica nel mondo favorendo il fallimento di Islanda, Irlanda, Portogallo, Grecia, Cipro e Spagna, l’instaurazione di regimi tribali fondamentalisti in Libia, Egitto e Iraq e fra poco in Afganistan e forse Siria e, si parva licet, ha appoggiato la sospesione della costituzione e l'instaurazione di un regime presidenziale illegittimo in Italia. Per gli elettori USA tutto bene quindi. Al supermercato si compra ancora cibo a tonnellate per pochi dollari e il numero dei baraccati (che abitano stabilmente nei campeggi dove noi ci fermiamo la sera) non e’ aumentato di molto.

Lasciato il Maryland, abbiamo puntato su Atlantic city, citta’ vacanziera sulla costa del New Jersey. Niente di che’. Poi abbiamo visitato Philadelphia, bella citta’ in Pennsylvania, ricca di monumenti del periodo delle secessione americana e, inaspettatamente, di discendenti italiani (spesso proprietari di pompe funebri). Intorno a Philadelphia vive una numerosa comunita’ di amish. Discendenti di tedeschi e svizzeri, membri di una intrigrante chiesa cristiana anabattista (si battezzano solo da grandi), gli amish vivono piu’ o meno come nel sei-settecento. Hanno delle bellissime bestie con cui lavorano la terra. Arano, seminano e raccolgono con utensili trainati da maestosi muli che lavorano in linee di 5, 6 o anche sette capi. Si muovono su carrozze di legno mosse da superbi cavalli, abitano in fattorie decentrate e si vestono, parlano, ragionano, pregano e si organizzano come se fossero ancora ai tempi della riforma protestante. Siamo rimasti una settimana nei loro territori e poi siamo andati a New York.

Qui dovevamo spedire in Italia i pacchi di Silvia e ritirare e autenticare il diploma di Lou. New York e’ sempre bellissima. Il nuovo Word Financial Center e’ a buon punto e gia’ svetta tra le torri piu’ alte di Manhattan. Indimenticabile la visione, che non conoscevamo, della citta’ da Brooklyn. E pure indimenticabile la traversata dell’isola col camper da sud a nord, da China Town al Bronx durante l’ora di punta. Prima di partire abbiamo salutato Sante che ci ha invitato a cena da Sal, l’ultimo degli immigrati classici italiani che gestisce una pizzeria a Little Italy.

Poi abbiamo passato il Connecticut e Rodhe Island e siamo entrati in Massachusets. Zona di fabbirche e industrie, ne abbiamo viste piu’ qui in qualche centinaio di Km che per tutte le 20 mila miglia percorse all’ovest due anni fa.

A  Cape Cod finalmente e’ sbocciata la primavera e ci siamo comprati due belle biciclette usate che trasportiamo attaccate alla ruota di scorta del camper. Abbiamo attraversato Boston senza fermarci e abbiamo puntato su Gloucester (la citta’ di George Cluny in “la tempesta pefetta”). Commovente il pranzo: stesso ristorante, stesso tavolo, stesso menu’ di dodici anni fa. Siamo proprio una vecchia coppia. 

In tre giorni abbiamo passato il piccolo New Hempshire e il selvaggio Maine e oggi la frontiera canadese. Nessun problema neanche coi doganieri che, educati alla scuola dei ranger di Yogy, hanno capito subito che un italiano e una scozzese col timbro di Colombia e Peru sul passaporto qualcosa dovevano pur avere sul camper e l’hanno perquisito. Non trovando la cocaina si sono meravigliati e ci hanno chiesto spiegazioni. Gli abbiamo detto che stavamo andando in Alaska a vendere il camper e loro: ”Ahh,  that make sense...” (“Questo ha senso”) e ci hanno lasciati passare. 

Un giorno in Canada e’ poco ma il sospetto fortissimo e’che la scuola iconografica e grafica sia quella colombiana. Non si capisce mai nulla delle indicazioni!! In ogni caso siamo sulla Prince Edward Island nella baia del San Lorenzo.