domenica 8 luglio 2012

Abbiamo cercato di vendere il camper in Maine ma probabilmente non ci riusciremo, per cui domattina, Lunedi' 9 luglio, partiamo. Destinazione North Dakota dove pare che si sia scatenata una corsa al petrolio e i ragazzi che ci arrivano, in cerca di lavoro, si ritrovano senza casa. Bene, noi gli venderemo il nostro Tioga. Abbiamo voglia di partire, specialmente Grace. Qua sotto la mappa del viaggio che ci portera' a visitare il boscoso Vermont e le pittoresche cascate del Niagara, a vedere l'industrioso Michigan, a reincontrare Chicago e il Winsconsin, ad attraversare l'estremo Minnesota ed infine il remoto Dakota del North teatro di tante epiche e tragiche guerre indiane.


View Larger Map

venerdì 15 giugno 2012

USA-AMISH E NEW YORK

Da piu’ di un mese siamo negli Stati Uniti, o meglio eravamo, perche’oggi siamo arrivati in Canada. 

Ma andiamo con ordine. Gli USA ci hanno accolto calorosamente a uno degli aereoporti di Washington. Durante la prima settimana siamo stati con la famiglia della sorella di Grace, Path e il marito Carl; abbiamo ripreso possesso del camper che era in buone condizioni e siamo ripartiti.

Gli americani sembrano stare bene, se possibile un po’ ingrassati; ormai, se si sta attenti, intorno ai piu’ ciccioni si puo’ scorgere la lieve modifica della curva spaziale come previsto dalla teoria einsteiniana della relativita’. Non sembrano molto agitati per le prossime elezioni presidenziali o almeno i segni della campagna elettorale sono meno evidenti di due anni fa quando andavano incontro alle elezioni di mid term. Probabilmente quindi rieleggeranno l’uomo che in meno di quattro anni e’ riuscito perfettamente ad esportare la crisi economica nel mondo favorendo il fallimento di Islanda, Irlanda, Portogallo, Grecia, Cipro e Spagna, l’instaurazione di regimi tribali fondamentalisti in Libia, Egitto e Iraq e fra poco in Afganistan e forse Siria e, si parva licet, ha appoggiato la sospesione della costituzione e l'instaurazione di un regime presidenziale illegittimo in Italia. Per gli elettori USA tutto bene quindi. Al supermercato si compra ancora cibo a tonnellate per pochi dollari e il numero dei baraccati (che abitano stabilmente nei campeggi dove noi ci fermiamo la sera) non e’ aumentato di molto.

Lasciato il Maryland, abbiamo puntato su Atlantic city, citta’ vacanziera sulla costa del New Jersey. Niente di che’. Poi abbiamo visitato Philadelphia, bella citta’ in Pennsylvania, ricca di monumenti del periodo delle secessione americana e, inaspettatamente, di discendenti italiani (spesso proprietari di pompe funebri). Intorno a Philadelphia vive una numerosa comunita’ di amish. Discendenti di tedeschi e svizzeri, membri di una intrigrante chiesa cristiana anabattista (si battezzano solo da grandi), gli amish vivono piu’ o meno come nel sei-settecento. Hanno delle bellissime bestie con cui lavorano la terra. Arano, seminano e raccolgono con utensili trainati da maestosi muli che lavorano in linee di 5, 6 o anche sette capi. Si muovono su carrozze di legno mosse da superbi cavalli, abitano in fattorie decentrate e si vestono, parlano, ragionano, pregano e si organizzano come se fossero ancora ai tempi della riforma protestante. Siamo rimasti una settimana nei loro territori e poi siamo andati a New York.

Qui dovevamo spedire in Italia i pacchi di Silvia e ritirare e autenticare il diploma di Lou. New York e’ sempre bellissima. Il nuovo Word Financial Center e’ a buon punto e gia’ svetta tra le torri piu’ alte di Manhattan. Indimenticabile la visione, che non conoscevamo, della citta’ da Brooklyn. E pure indimenticabile la traversata dell’isola col camper da sud a nord, da China Town al Bronx durante l’ora di punta. Prima di partire abbiamo salutato Sante che ci ha invitato a cena da Sal, l’ultimo degli immigrati classici italiani che gestisce una pizzeria a Little Italy.

Poi abbiamo passato il Connecticut e Rodhe Island e siamo entrati in Massachusets. Zona di fabbirche e industrie, ne abbiamo viste piu’ qui in qualche centinaio di Km che per tutte le 20 mila miglia percorse all’ovest due anni fa.

A  Cape Cod finalmente e’ sbocciata la primavera e ci siamo comprati due belle biciclette usate che trasportiamo attaccate alla ruota di scorta del camper. Abbiamo attraversato Boston senza fermarci e abbiamo puntato su Gloucester (la citta’ di George Cluny in “la tempesta pefetta”). Commovente il pranzo: stesso ristorante, stesso tavolo, stesso menu’ di dodici anni fa. Siamo proprio una vecchia coppia. 

In tre giorni abbiamo passato il piccolo New Hempshire e il selvaggio Maine e oggi la frontiera canadese. Nessun problema neanche coi doganieri che, educati alla scuola dei ranger di Yogy, hanno capito subito che un italiano e una scozzese col timbro di Colombia e Peru sul passaporto qualcosa dovevano pur avere sul camper e l’hanno perquisito. Non trovando la cocaina si sono meravigliati e ci hanno chiesto spiegazioni. Gli abbiamo detto che stavamo andando in Alaska a vendere il camper e loro: ”Ahh,  that make sense...” (“Questo ha senso”) e ci hanno lasciati passare. 

Un giorno in Canada e’ poco ma il sospetto fortissimo e’che la scuola iconografica e grafica sia quella colombiana. Non si capisce mai nulla delle indicazioni!! In ogni caso siamo sulla Prince Edward Island nella baia del San Lorenzo.

martedì 1 maggio 2012

Ultimi giorni

Sono gli ultimi giorni in Colombia. Mercoledì 2 Maggio voliamo a Washington. Siamo un po' tristi. Piove da 30 ore consecutivamente e quindi decidiamo di lasciare Sapzurro. La barca ci preleva dalla spiaggia sotto la pioggia e ci porta a Capurgana dove inizia l'ultimo viaggio in barca fino a Turbo. Quando arriviamo ha smesso di piovere e i ragazzi del porto, a caccia di mance, ci beccano e in pochi minuti caricano noi e i nostri zaini su un autobus per l'ultimo viaggio in sterrata. La meta é Medellin ma decidiamo di scendere prima, a Santafé de Antioquia. Il viaggio ci porta su e giù per una sierra boscosa. Numerosi villaggi presentano una abbondante popolazione india, con donne e uomini vestiti come Cochis: fascia intorno alla testa per tenere i capelli neri e lunghi, piedi nudi e vestitino di cotone. Molti i militari per strada ma i controlli sono blandi. Arriviamo a Santafé che é già buio ma facciamo in tempo a visitare un po' questo borgo coloniale che per qualche secolo é stato la capitale della regione. Ricorda Mompos ma l'aria di montagna rende tutto molto più vivace e frizzante. Restiamo a Santafé un paio di giorni poi ripartiamo per Medellin. Medellin pensavamo che fosse una Napoli e invece é una Francoforte della Colombia. Sembra proprio di essere in una città del nord in Primavera e invece siamo in una città del sud in Inverno. Trasporti urbani efficientissimi, quartieri puliti e ordinati, palazzi pubblici moderni ed eleganti ovunque, anche nei quartieri poveri e periferici. Vicino al nostro albergo c'è un centro sportivo di altissimo livello dove fanno anche campionati internazionali ma le piste e i palazzetti dello sport sono aperti al pubblico. Sono pieni di ragazzi che fanno ginnastica e giocano a tennis, pallone, basket. Alle sette di mattina il parco é stracolmo di signore che fanno ginnastica ritmica animate da un baldo trainer. Il meglio é il Museo de Antioquia che piazziamo tra i primi tre visitati insieme al MOMA di New York e a La Casa de Bellas Artes di Città del Messico. La star del museo é decisamente Botero che é di qui, ma i tre piani del museo sono tutti vibranti di creatività pittorica novecentesca. Tra le bellezze di Medellin che non é possibile non citare ci sono sicuramente le donne. Il viaggio per Bogotá è stato un tormento di 13 ore. Siamo arrivati in piena notte per l'ultima tappa. Stamattina ci siamo fatti una bella scarpinata di 6 km fino a 3200 metri (la città sta a 2600) poi abbiamo evitato gli scontri che santificavano l'enorme corteo del Primo Maggio e abbiamo mangiato in un ottimo ristorante ebraico. Domattina compriamo i regali e poi aereo, torniamo al centro dell'impero. Washington DC ci aspetta.

lunedì 23 aprile 2012

Trovato!

Per arrivare a Sapzurro ci sono due modi. O si prende l'aereo a Medellin, si atterra a Capurgana, si sale sul carretto a cavallo e si va al porto da dove parte la barca che porta al molo di Sapzurro oppure si va a Turbo in autobus, si sale sulla barca che dopo tre o quattro ore scarica al porto di Capurgana. Da qui è possibile anche proseguire a piedi per un sentiero che scavalcando la collina raggiunge la meta in un'ora e mezzo. Noi abbiamo scelto questa seconda soluzione. Quando si arriva a Sapzurro poi non si deve più fare nulla perché è il posto che tutti starebbero cercando. Geograficamente si tratta di una baia di tre Km di circonferenza intorno ad un mare verde smeraldo circondato da colline che scendono fino alla riva, ricoperte da una rigogliosa vegetazione tropicale. Sul lato est della baia abita il Bola, l'aristocratico intellettuale possidente terriero, matto e intrigante che riceve in mutande nella sua cabaña e inizia subito a parlare di poesia, Bolivar e storia locale. Più avanti verso ovest, c'é la spiaggia e nella zona di mare tra il Bola e la sabbia sono ancorati i velieri. Segue un lungomare con quattro chalet (quello in vendita, quello bianco, quello del Cileno e quello di Mario e Lina dove siamo ospitati). Proseguendo c'é il ristorante del tedesco che però vive sulla sua barca tra i velieri, e poi il villaggio che é in ottime condizioni con chiesa azzurra, piazza davanti al molo, qualche ristorante, sala biliardo e tre o quattro alberghetti. Il tutto termina in una nuova spiaggia che lascia il campo alla costa ovest dove, sotto le piante, stanno costruendo qualcosa. Dietro il villaggio la salita della collina e il cartello con BIENVENIDOS A PANAMA. Dato il posto si passa il confine anche senza documenti. I soldati dei due paesi prendono nota del nome e cognome del viaggiatore e si scende la scala fino a La Miel, avamposto panamense sul Darien Gap (nome di questo territorio). Diamo tutte queste informazioni perché per quanto ci riguarda noi ci fermiamo qui e quindi forse vi capiterà di venirci a trovare. Naturalmente non esistono le automobili. A Capurgana ci sono 4 o 5 moto ma visto che le strade carrozzabili non sono più lunghe di tre km, il mezzo é un po' inutile. I cavalli sono invece numerosi. Capurgana vista da Sapzurro é un discreto centro commerciale, in realtà é un paesino di tremila abitanti. Non é male, ci vivono anche due italiani con ristorantino e pensione che ci hanno raccontato dei traffici di coca, naturalmente copiosi su questa rotta, della presenza di guerriglia, controguerriglia, esercito e corruzione che offrono alla zona quel fascino della frontiera così pittoresco (a parole). Il problema principale della zona é costituito dalla centrale elettrica del circondario che funziona a singhiozzo creando molti problemi soprattutto ai venditori di gelati e ai turisti con camera senza finestre e con aria condizionata. Nei prossimi giorni cercheremo di visitare i villaggi degli indiani Kuna che vivono nella zona e magari di raggiungere le mitiche isole dell'arcipelago di San Blas. Ma qui siamo veramente a Macondo e più che efficienti servizi di comunicazione garantiscono cent'anni di solitudine (Sapzurro l'hanno fondata nel 1898, tra loro c'era il nonno del Bola).

mercoledì 18 aprile 2012

Mompos, Tolu e Turbo

Sarebbe da raccontare con lo stile di Garcia Marquez perché solo vedendo questa languida, impalpabile e nostalgica lontananza si percepisce pienamente la cronaca di una morte annunciata. Mancando la classe e lo stile di Garcia Marquez si può solo dire che la malinconia di questo posto é inarrivabile. Gli antenati di questi borghesi e urbanizzati signori saranno sicuramente stati attivi e passionali coloni attratti dalla terra, dal commercio e dall'oro che le terre del nuovo mondo prospettavano. E a quei signori forti, volitivi e vigorosi deve anche essere andata bene a giudicare dalle case, le chiese i conventi e gli ori di Mompos. Ma poi la storia ha cambiato direzione, il commercio sul fiume Magdalena ha dimenticato la centralità che gli forniva l'impero spagnolo, la terra ha perso valore e le vene d'oro si sono esaurite. E così in fondo a questo caldo e umidissimo delta sono rimasti gli artigiani, abilissimi a cesellare l'oro o intagliare mobili o a forgiare ferro battuto e a modellare stucchi ma il significato del fare si é perso perché Mompos é una città ormai senza senso, senza strade e comunicazione, senza ricchezza che non sia la sua gente fatta di una borghesia urbana annoiata che solo Garcia Marquez può raccontare. La città sta su un ramo di un fiume lungo 1600 km, navigabile per 900. Con una barca abbiamo visitato un poco qua intorno in un regno agreste un po' paludoso, fatto di uccelli di tutti i tipi, vacche bianche con la gobba di grasso che ricordano l'india, pescatori della laguna abituati a convivere con le piene del fiume e le inondazioni lunghe anche sette mesi, Iguane a migliaia, aquile, paperi e villaggi poverissimi dove, unico posto in questo viaggio, abbiamo potuto constatare le pance gonfie della denutrizione infantile. Abbiamo lasciato Mompos e il Delta dopo tre giorni e con un trasferimento in parte via fiume, in parte in taxi e in parte in autobus siamo ritornatati sulla costa. Per una settimana siamo stati a Tolu, centro turistico senza infamia e senza lode. Da qui abbiamo navigato per lo splendido arcipelago di San Bernardo e visitato le spiagge dei dintorni, belle, tropicali, spiaggia bianca e palme. Poi siamo ripartiti, destinazione Turbo ultimo porto per raggiungere il Darien gap e il confine con Panama.

mercoledì 11 aprile 2012

La cumbre de America

Lo sapevamo che era pericoloso farsi pubblicità. Ma non immaginavamo che dopo il successo dell'intervista e del blog ci coinvolgessero tanto. Ha iniziato Cristina (Presidenta dell'Argentina) con un messaggio Skype: "Come, siete in Colombia? Dobbiamo approfittarne, voglio senz'altro incontrarvi". Non si fa in tempo a rispondere che squilla il telefono, era Chavez (Presidente del Venezuela) : "Dai compañeros, approfittiamone che siete da queste parti, vediamoci, magari viene anche Evo (Morales, Presidente della Bolivia). Un minuto dopo ci arriva una e-mail dalla casa bianca: "Mi dice Ortega (Presidente del Nicaragua) che siete da queste parti e propone di vederci tutti insieme magari a Cartagena così non vi scomodiamo troppo. Che ne dite?". Firmato Barak Obama (Presidente degli Stati Unita d'America). Alla fine abbiamo dovuto accettare, vengono giù tutti i Presidenti del continente per sentire una nostra opinione e per il piacere di incontrarci. Per cui in questi giorni saremo un po' presi e magari meno disponibili per gli intimi. Ci auguriamo che possiate scusare il disturbo.

In ogni caso per ora siamo venuti a Santa Cruz de Mompos dove Rosi nel 87 ha girato Cronaca di una morte annunciata. Una città coloniale sul delta del fiume Magdalena, sonnachiosa ed elegante ci si arriva dopo un viaggio di 6 ore di sterrato da Valledupar.
Lungo la strada una pianura dedicata all'allevamento bovino punteggiata di enormi alberi tropicali, di quelli che da noi mettono nei parchi cittadini, con il tronco poderoso e il cono d'ombra grande come un campo di calcetto. Ogni tanto paesini di una Colombia povera e finora non vista, qui sembra veramente America Latina, con baracche per case e cavalli o asini come mezzo di comunicazione. Tutto naturalmente costa molto meno che sulla costa. Ah Colombia, misteriosa e sempre diversa.

domenica 8 aprile 2012

Marzo in Colombia

8 aprile


Mamma mia é passato più di un mese dall'ultimo aggiornamento. Vediamo di riassumere i nostri movimenti delle ultime settimane. Abbiamo lasciato La Boquilla il 9 di marzo perché per quanto stessimo veramente bene e ci fossimo ben ambientati ci sembrava fosse venuto il momento di scrollarci di dosso la sedentarietà. Con un taxi collettivo ci siamo trasferiti a Santa Marta, sempre sul mare ma un 200 km più ad est, verso la frontiera col Venezuela. La città non é molto grande, ma é un porto commerciale importante. È costruita su una bella baia con mare blu intenso e spiaggia sotto le palme. Il centro storico è carino anche se non paragonabile alla magnificenza di Cartagena. Ci é morto nel 1830 Simon Bolivar il libertador degli attuali stati di Venezuela, Panama, Ecuador, Peru e Bolivia dall'impero spagnolo. Nella finca appena fuori città in cui è morto oggi c'é un interessante museo sulla sua vita e una sorta di altare della patria di tutti i sudamericani.

Alle spalle della città inizia una massiccio montuoso che supera i 6000 metri, la Sierra nevada, regno dell'etnia Tayrona che ancora oggi la abita preservando una cultura precolombiana evidentemente molto ricca. Noi ci siamo stabiliti in una fantastica pensione a Taganga, 5/6 km da Santa Marta. Il villaggio é incantevole ai piedi della montagna su una insenatura che ricorda la semiarida costa sarda. Gli abitanti sono pescatori poveri ma molti lavorano col turismo che sembra essere una notevole fonte di reddito. Taganga é entrata a far parte del cosiddetto gringos trail e centinaia di ragazzi europei e nordamericani passano qui qualche giorno del loro viaggio in Colombia dando al paese l'aspetto di un college e alle sue notti i colori della festa. Anche qui Grace doveva lavorare poi Ale si é beccato un virus per cui ci siamo fermati fino al 27 marzo.

Prima di lasciare la regione abbiamo fatto un giro nel selvaggio parco naturale Tayrona, un paradiso terrestre senza strade dove ci si muove solo a piedi tra spiagge mozzafiato e torrenti verdissimi dove centinaia di trampolieri beccheggiano felici gli avanotti che madre natura fornisce loro a milioni. Tra una spiaggia e l'altra possono incontrarsi giardini di palme, bananeti e montagne ricoperte di foreste dove albergano scimmie, opossum, iguane, pappagalli e naturalmente indigeni tayrona, vestiti di cotone bianco con i capelli lunghi e neri sciolti sulle spalle che sfrecciano sui loro cavalli albini tra le spiagge di corallo. Insomma il parco ci é piaciuto molto e ne siamo usciti solo per esaurimento contanti.

La tappa seguente é stata la città di Riohacha, 180 km ad est di Santa Marta, capitale della semidesertica penisola della Guajira che la Colombia condivide col Venezuela.
La città non é bellissima ma si vede che qui si arriva alla fine del mondo civile. Le automobili sono pochissime e i bambini sono in strada a giocare. Il mare non é entusiasmante ma i pesci che i pescatori offrono sono uno spettacolo, molto più grossi che negli altri porti, spesso si vedono i merlin (quello dell'uomo e il mare) ma anche altre razze giganti di cui é difficile ricordare il nome. Si mangia l'aragosta a poco prezzo nei ristoranti sul lungomare e soprattutto sul lungomare cominciano a vedersi i wayuu, la gente che abita da sempre questa regione senza che nessuno sia mai riuscito a sottometterli.

Dopo due giorni di studio sul da farsi martedì 3 Aprile siamo partiti per Cabo de la Vela. Ci siamo arrivati dopo tre ore di attraversamento del deserto sul cassone di un camioncino che trasportava mercanzie. I wayuu vivono di pesca lungo la costa in baracche di legno. Anche il paesino di Cabo de la Vela non é altro che un gruppo di baracche ma l'incanto della sua spiaggia ha sviluppato il turismo e così molti wayuu affittano tettoie di paglia sulla spiaggia per appenderci l'amaca, oppure baracche di paglia con il letto. Noi fortunatissimi avevamo una cameretta con bagno proprio sul mare.
Il posto era di un incanto senza fine ma siamo nella settimana santa che in Colombia equivale al nostro ferragosto e il villaggio ha cominciato a riempirsi. In Colombia il giovanilismo non si é sviluppato, i ragazzi girano a coppie di fidanzati, al massimo in quattro. Qui il casino viene dalle sterminate famiglie. Si muovono in nuclei compatti tri o quadrigenerazionali, si pigiano all'inverosimile nei loro gipponi (il turismo é riservato alle classi abbienti) e poi esplodono sulla spiaggia e nei ristoranti con tavolate infinite. Il massimo della festa si ottiene amplificando la musica a diecimila decibel grazie ad apparecchiature montate sul gippone. Poi la famiglia estrae un enorme contenitore di birre e si piazza in piedi, bottiglia di birra in mano intorno alle enormi casse acustiche. E così si va avanti fino a tarda notte. Giovedì santo il numero di mostruo famiglie, gipponate, birrate agli ulltrasuoni aveva superato la sostenibilità del Cabo de la Vela. Noi siamo stati cacciati dalla nostra cameretta sul mare per far posto a 32 familii che si sono sistemati alla meglio. In cambio ci hanno messo a dormire in piccionaia insieme a seicentoottantatre altri turisti sistemati su altrettante amache. Abbiamo capito che non c'era più posto per noi in alta Guajira e così la mattina alle quattro, sotto una luna piena mozzafiato che si specchiava nel caribe immobile, abbiamo ripreso il nostro camioncino e in tre ore di cassone siamo tornati in città a Riohacha.

L'8 aprile, giorno di pasqua siamo partiti per Valledupar da dove scrivo.

giovedì 23 febbraio 2012

Cartagena

Adesso siamo in un paesino a 10 km da Cartagena. Si chiama Boquilla, é sulla spiaggia, è abitato da pescatori neri è ben ventilato e non richiede aria condizionata. Le giornate procedono tranquille; sotto le palme Grace traduce, Ale va a comprare il pesce dalle reti dei pescatori o raccoglie vongole da mare. L'albergo dove stiamo ha una nuova gestione, una joint venture svizzero-colombiana dove Stephan si lamente perchè le cose non funzionano mentre la socia colombiana appare invece tranquilla. Nell'albergo convive uma piccola comunità con Leo, tecnico di acquiloni 39enne di Bogotà ora neo iscritto ad ingegneria; Jamalé fidanzata di Stephan studentessa di scienze della comunicazione, di Calì, maestra di salsa; Rodrigo tuttofare dell'albergo e un altro signore non ancora definito. È evidente che l'impresa fallirà molto presto ma per noi è un ottimo posto. Ci resteremo almeno una decinamdi giorni perchè è il luogomideale per lavorare e le traduzioni da fare non mancano.

domenica 12 febbraio 2012

Bogotà

Già sull'aereo, mentre abbandonavamo l'Amazzonia ci siamo resi conto che la rivista ufficiale della compagnia colombiana Copa aveva qualcosa di unico. Era la prima rivista di questo tipo semplicemente non leggibile. Normalmente si tratta di riviste semplici e ben fatte, belle foto, articoli chiari, grafica standard e patinata, molta pubblicità. La rivista di Copa no. Non si capisce dove un articolo inizi e dove finisca. La parte in spagnolo ora é a destra di quella in inglese, ora a sinistra; a volte sopra e a volte... ah eccola, la ritrovi tre pagine dopo inserita in un articolo diverso, ma non si tratta di un errore di impaginazione ma una scelta grafica che si ripete. Strano. In effetti avevamo già notato, nel parco centrale di Leticia, dove ci avevano accompagnati sette bambini biondi e neri, in triciclo, spiegandoci che al tramonto il parco é pieno di Lori verdi che avremmo potuto fotografare, avevamo già notato, dicevamo, una stranezza grafica. Il parco é dedicato alle popolazioni amazzoniche colombiane che sono presentate per mezzo di una statua realistica rappresentante un membro della nazione. Accanto alla statua, sulla pala di un remo di canoa, sono riportate le informazioni sulla popolazione. Solo che le scritte non procedono regolarmente da sinistra a destra e dall'alto in basso ma, per adattarsi alla forma di rombo arrotondato della pala del remo, salgono e scendono a 45 gradi creando un movimento a 'v' rovesciata che rende impossibile la lettura.
A Bogotà la domenica mattina il centro storico é chiuso al traffico e così ce ne siamo andati in giro tranquilli a scoprire la parte più antica e pittoresca della città. Ma anche qui la grafica si presenta curiosissima. Le lapidi di marmo che spiegano e ricordano fatti e personaggi salienti sono numerose come in ogni città con una Storia, ma a Bogotà sono troppo larghe, l'occhio non riesce a seguire la linea con facilità, perde il segno e si stanca. Tre indizi non sono una prova ma quando ci siamo trovati di fronte alla mappa della città, offerta ai turisti da una splendida mostra fotografica, organizzata dalla Municipalità non abbiamo più avuto dubbi. La grafica colombiana é disfunzionale. Bogotà ha sette milioni di abitanti e offrire ai turisti una mappa con tutte le strade di tutti i quartieri, con i nomi delle vie tutti riportati, é semplicemente senza senso.
Poi siamo entrati al Museo dell'indipendenza. É un museo tipico delle città sudamericane, dove si presentano i personaggi e gli eventi più significativi della liberazione dall'impero spagnolo e la nascita degli stati nazionali. Mappe, stampe, didascalie e quadri riassuntivi permettono al visitatore di farsi, in una divertente oretta, un'idea basilare della storia del Paese. Questo ovunque ma non in Colombia. Qui il museo inizia con una sala dedicata a spiegare perché il museo é come é ora e non come era 10 anni fa. Naturalmente per rendere più confuso il tutto vengono introdotte nozioni di museologia storica e di filosofia museale. Non capiamo niente ma passiamo oltre. Nella seconda sala, piccola buia e piena di gente, viviamo l'apoteosi del multimediale. Delle grosse stampe d'epoca dei personaggi storici sono animate per rendere più realistico il parlare del personaggio. Chi siano i personaggi non viene indicato, sono padri della Patria e parlano e noi li stiamo ad ascoltare. Non é facilissimo perché parlano tutti insieme e la stanza é piccola ma noi ci proviamo. In genere sono giuristi e ripetono alcuni brani significativi dei loro scritti di filosofia del diritto, una palla enorme!!! e soprattutto di nessuna apparente utilità per la comprensione della storia colombiana. La stanza successiva ci mostra la statua di due persone che si prendono a pugni e a fianco, in una teca, un pezzo di vaso di fiori rotto in ceramica bianca colorata. Non capiamo a cosa rimandino questi oggetti? Niente paura la sala successiva con un intrigante gioco di filmati sulle pareti, propone un surrealistico dibattito stile porta a porta, a volume altissimo, tra storici, psicanalisti e passanti sul significato e il metasignificato del vaso di fiori rotto (???). Per finire siccome l'indipendenza, concetto cui é dedicato il museo, é un valore non definibile una volta per sempre, i visitatori sono invitati a scrivere su un tatzebao la loro personale concezione di indipendenza. Usciamo inorriditi e frastornati. Della storia colombiana non sappiamo nulla più di quanto non sapessimo quando siamo entrati, eccetto forse che a metà degli anni 80, 35 guerriglieri del M19 hanno fatto irruzione armati nel palazzo di giustizia di Bogotá e l'esercito li ha cacciati con i carri armati. Filmato e didascalia in questo caso erano chiari. Il mistero del surrealismo casinaro, dell'incapacità di chiarezza che sembra innervare il Paese verrà fortunatamente svelato al museo successivo. Si tratta del museo de oro. Ci andiamo dopo il caffè perché ce l'ha consigliato la cuoca dell'albergo e dal titolo sembra facile. Ci saranno alcuni pezzi d'oro... Alcuni? Sono migliaia, scordatevi il tesoro di Agamennone, il museo Egizio e il Topkapi. Qui la quantità di pezzi è innumerevole perché gli altrettanto innumerevoli popoli della Colombia pre ispanica, essendo privi di necessità commerciali, ma fornitissimi di oro che si trovava senza difficoltà nei fiumi, non avevano nulla di meglio da fare che costruire statuine, oggetti di culto, corone, bracciali, pettorali, portagenitali ecc in oro, argento, platino e relative leghe. Erano bravissimi artigiani e a quanto sembra ottimi sciamani, grandi conoscitori di erbe e viaggiatori nel tempo e nello spazio, esploratori delle dimensioni psichiche e dei regni animali e vegetali. Grandi equilibristi della mente e conoscitori dei suoi poteri. Ecco cosa sembra la Colombia, un paese di invasati, squilibrati, felici surrealisti, impreparati alla pratica ma attratti da dimensioni occulte e da stati paranormali. Ecco spiegato il segreto di Uribe, il presidentissimo di destra che governa con grande consenso il Paese dal 92. In un Paese senza senso pratico dove ognuno, blaterando principi incomprensibili prendeva le armi e con i precedenti Presidenti, che attratti dalla confusione ciarliera cercava il dialogo con gli insorgenti Uribe ha detto semplicemente basta, esiste lo Stato (oooh) esiste il potere (aaah) e adesso non si deve più sparare (uuuh). Un successone. Certamente una scuola di grafica che spiegasse l'utilità della chiarezza e della semplicità riscuoterebbe consensi insperati in questo Paese di confusi surrealisti, sempre pronti a spiegare, come tanti sciamani, le ragioni profonde, le motivazioni preliminari, i valori fondamentali, gli istituti basici di tutto senza mai dire nulla di pratico e concreto. Ma ora é così. E sembra divertente.

venerdì 10 febbraio 2012

Leticia

Leticia é un punto geografico al vertice di un triangolo di giungla appartenente alla Colombia per una simpatica interferenza americana (nel senso degli Stati Uniti). Mentre il boom del caucciù stava lentamente terminando, ai primi del 900, riconsegnando la foresta alla sua millenaria tranquillità, in un Hotel di New York di fronte a Central Park, l'Astoria, Mr J.P. Morgan, colto e ricchissimo banchiere, insieme a pochi altri signori decise che:
si sarebbe scavato un canale nell'istmo di Panama per consentire il collegamento marittimo tra Atlantico e Pacifico evitando la circumnavigazione del Sudamerica;
il territorio del canale di Panama, fino ad allora parte della Repubblica della Colombia, si sarebbe costituito come Stato a sé sotto il controllo degli Stati Uniti d'America;
la Colombia, come indennizzo per la perdita territoriale, avrebbe acquisito il triangolo amazzonico e lo sbocco sul Rio delle Amazzoni.
E il Peru, cui apparteneva il triangolo amazzonico con l'attuale Leticia? Beh si scoprì qualche anno dopo, quando il Brasile si rese conto che sul rio delle Amazzoni ora navigavano anche bandiere colombiane e denunciò il fatto internazionalmente, che il Presidente della Repubblica del Peru e il Ministro degli affari esteri che avevano, all'insaputa del Parlamento, firmato la cessione territoriale, avevano anche, nel contempo sviluppato dei grossissimi conti in banca spiegabili solo con versamenti in dollari del banchiere J.P. Morgan colto mecenate che morì a Roma nel 1909 non senza avere devotamente contribuito alle finanze della Chiesa Episcopale di cui fu sempre membro eminente. Cosa interessasse alla Colombia l'acquisizione di Leticia, distante migliaia di km dalla Colombia interna e ancora oggi priva di un collegamento stradale con essa non si capisce, o meglio si capisce solo dopo qualche giorno di surrealistica vita Colombiana.
Per noi Leticia rappresenta un autentico shock culturale: é infatti una cittadina normale, con le strade asfaltate sempre, con le case sempre intonacate, la gente sempre con le scarpe e i vestiti sempre senza buchi, sbrechi e macchie; dopo 6 mesi di Amazzonia e Ande la meraviglia é notevole e così il giorno dopo il nostro arrivo abbiamo preso l'aereo e scavalcando l'equatore siamo andati a Bogotà.

giovedì 9 febbraio 2012

Verso Leticia

Con la veloce e poderosa motonave Tuky primero partiamo all'imbrunire dal porto Masusa di Iquitos. E' un viaggio inaugurale per la nave, abitualmente impegnata su una rotta differente e l'equipaggio, giovanissimo, é piuttosto eccitato. I passeggeri non sono molti e nemmeno le merci caricate; per l'armatore il viaggio ha più che altro una funzione promozionale. Come vicino di camera abbiamo Xavier professore Limeño di storia e geografia che sarà una fucina continua di informazioni e aneddoti sul Peru che ci apprestiamo a lasciare dopo 4 mesi. A bordo i gringos sono abbastanza numerosi, c'é Gianni, curandero sciamanico di Viareggio, Barth Londinese ex studente SOAS in viaggio con Jeremia sudafricano. Una pacioccona di 18 anni di Heidelberg che stava anche sulla nave da Yurimaguas e per finire un paio di ragazzi di Città del Capo. La crociera anche stavolta si rivela interessantissima. Ci svegliamo all'alba e oltre alla luna piena che sta tramontando a nord ovest il cielo, stranamente privo di nuvole, ci offre una stupenda alba sul Rio. I primi villaggi che incontriamo vengono svegliati dall'arrivo inaspettato della nave che annuncia l'inizio del servizio regolare con il lancio dal ponte di splenditi e apprezzatissimi calendari. Verso le 9 attracchiamo a Pevas, preceduti dai delfini rosa in parata. La cittadina é capoluogo di dipartimento e sembra bellissima sopra la collina. Peccato che per paura di strafare abbiamo deciso di non fermarci perché due giorni qui sarebbero stati veramente notevoli. Ripartiamo; questa parte del fiume é decisamente più popolata di quella più a monte; i villaggi sono numerosi e anche le casette sparse e sperdute sembrano essere più frequenti. A metà giornata registriamo l'evento clou: sale a bordo un ganadero, un mandriano, con le phisique du role, stivali di gomma, canotta bianca, barba di due giorni e corpo ossuto. Parla col comandante e dopo poco siamo a riva. Si tratta di caricare a bordo un torello (di razza indiana, ci spiega Xavier che é aggiornato sulle innovazioni bovine in Amazonia) di mezza tonnellata che però spaventatissimo non ne vuole sapere e tira e salta in ogni modo. L'equipaggio tira con forza ma ad ogni salto del torello cresce la paura insieme alle urla del pubblico entusiasta appollaiato sui ponti più alti. Il ganadero strizza la coda la toro nella speranza di farlo salire ma questo non ne vuole sapere. Tira, salta, strizza, scappa alla fina lo issano in plancia dove assistiamo per qualche istante ad una corrida di Pamplona solo che il giovane equipaggio del Tuky non ha alcuna dimestichezza con la corride e scappa spaventato tra le lance della nave. Alla fine interviene il grasso e autorevole comandante che rivela di non essere tale per niente e riporta la situazione sotto controllo assicurando il torello ad una cima e questa al cancello della stiva. Scarichiamo il torello, le vacche e i vitelli di bordo a valle di San Luis (l'isola dei lebbrosi dei diari della motocicletta del Che) e anche qui non senza fatica. Per evitare rotture degli arti le bestie vengono gettate direttamente nel fiume e finalmente abbiamo la prova che le mucche sanno nuotare. Per il resto il viaggio procede in modo ordinario tra i racconti dei viaggiatori (il liutaio di Lima, il fratello di chi ha passato tre volte il confine Mex Usa da clandestino, Sendero Luminoso negli anni 80 ecc.), estasi naturalistiche e grida di uccelli e scimmie dalla riva. Arriviamo a Santa Rosa dopo 36 ore in una nebbia tropicale che il sole scioglierà definitivamente solo verso le nove.

mercoledì 8 febbraio 2012

Iquitos

Iquitos ha più facce. C'é il porto di Masusa dove le navi (grosse chiatte in realtà) approdano direttamente sul fango facendosi largo tra le altre a colpi di lamiera. Le navi sono ammaccatissime ma questo è lo stile dei comandanti amazzonici. Poi c'é il centro con i resti dei fasti del caucciù. Palazzi belle epoque, bar in mogano e stucchi decaduti.
Poi c'é Belen, il quartiere sull'acqua che farebbe la sua figura in un documentario sulla lebbra negli slums indiani. E poi c'é il resto che é malmesso quanto Belen ma essendo più distante dal centro non ha turisti voyeristi anche se ci vivono 500 mila persone. Poi ci sono le strade sorprendentemente piene di tricicli a motore montati nello stabilimento Honda fuori città. Ci sono anche i parchi dove il sabato e la domenica le famiglie trascorrono il week end facendo bagni controllati nelle lagune e poi, intorno, la foresta amazzonica con i suoi boa e anaconde, i suoi coccodrilli, le scimmie, i pappagalli, i giaguari, i puma, gli alberi giganti ecc. Ci sono le comunità native che hanno anche il loro quotidiano (la region) e ci sono le comunità gringhe anch'esse col loro periodico (Iquitos news). Noi ci siamo visitati un po' tutto andandocene in giro per 5 giorni e stasera, con il Tuky salpiamo per Santa Rosa, la città di confine con la Colombia.

mercoledì 1 febbraio 2012

Dunque l'inferno può essere la fenemonologia del paradiso

Salpiamo verso le sei di sera dal porto di Yurimaguas con il Gilmer IV. Come vicino di stanza ci ritroviamo un sosia di Jack Nicholson (che avevamo già incontrato a Kuelap e che in realtà é un prof porteño [di Bueno Aires] di economia). La nave é pienissima di amache stese, la nostra cabina non é male e la navigazione appare tranquilla non si sentono vibrazioni e il rumore del motore é praticamente inesistente. Non fa caldo, spazzato via da un provvidenziale acquazzone dopo due giorni asciutti e senza nubi. Dormiamo tranquilli e ci alziamo alle cinque con la prima luce. La nave si sveglia e lentamente inizia a carburare. Il frocetto della cucina ci porta la colazione. Jack Nicholson, con uno scalda acqua elettrico, ci aiuta a preparare il caffè; la vita si anima. Poco alla volta capiamo cosa succede: quando dalla riva qualcuno sventola una camicia, la lancia di bordo si stacca dalla nave e va a recuperare i nuovi passeggeri da una capanna a riva, oppure li scarica e la nave manco rallenta. Ad un certo punto attracchiamo. Quelli di San Luis hanno 40 tonnellate di mais da portare a Iquitos. in un'oretta i ragazzi del villaggio caricano i 600 sacchi da 40 kg sul ponte più basso della nave e si riparte. Siamo esterrefatti, noi passeggeri siamo turisti, pochissimi i gringos, 4 o 5, ma pur essendo peruviani non sappiamo nulla della vita della selva. Veniamo dalla città o dalla montagna, siamo impiegati e insegnanti in vacanza e i villaggi di legno e paglia sulla riva del fiume sono una autentica novità per tutti. Ma sicuramente la peruvianità ci ha aiutato a sistemarci in duecento appesi ad un amaca senza gridare, sporcare, litigare, fare casino. Sulla nave é evidentissimo che regna un ordine disciplinato e sereno inimmaginabile altrove. Il numero di bambini é notevole ma nessuna confusione. Le fermate ai villaggi (pittoreschi, spesso parzialmente inondati sotto le palafitte ma eleganti nella loro urbanistica indigena) sono frequenti. I locali salgono a bordo per vendere frutti dai nomi stranissimi e dimenticati dopo 10 minuti (sapolo, macamos, taperiba), pappagallini colorati detti lori, pesci cotti o crudi, polpette di banana verde, uova e pesce. Durante le fermate i ragazzi caricano il ponte basso di sacchi di aguitas, grappoli di platanos e chissà cos'altro. Intanto siccome é carnevale e ogni scherzo vale, i ragazzini del villaggio tirano sui passeggeri della nave palloncini pieni d'acqua. Quando si riparte le canoe locali tornano lentamente alle capanne, accompagnate dai delfini d'acqua dolce, numerosi sopratutto nei porticcioli alle confluenze dei fiumi mentre noi scivoliamo lontani. Ma poco dopo un nuovo villaggio, una nuova richiesta di attracco e si ricomincia. Alle 11, quando abbiamo assaggiato di tutto e siamo sazi e soddisfatti, il rio Huallaga, su cui stiamo navigando, largo quanto il Po', si butta nel Rio Marañon e diventiamo immensi, più del Mississippi a New Orleans, più di quanto si possa immaginare. Sul ponte, sempre più carico di frutti della selva in marcia verso il mercato di Iquitos, continua a fervere l'attività, perché bisogna sistemare meglio i sacchi, ricoprirli coi teli perché potrebbe piovere... Anzi piove, pioviggina ma non ci distrae, noi passeggeri, dal nostro daffare. Intanto dobbiamo capire dove siamo, come si chiama il fiume che stiamo incrociando, se sia vera la diceria che arriva fino all'Ecuador. Poi dobbiamo conoscerci, sapere da dove veniamo, cosa facciamo. Dobbiamo stare dietro ai bambini che ormai hanno preso coraggio e saltano per tutta la nave anche eccitati dai loro coetanei dei villaggi che si rotolano nel fango, si tuffano nel fiume, giocano in canoa e... ci tirano palloncini pieni d'acqua. Dobbiamo organizzarci per rispondere al fuoco. Per un po' si incarica di dirigere l'offensiva un ragazzo argentino con curiose similitudini col Che, (entrambi di Rosario ed entrambi medici) ma un colpo sbagliato lo porta ad annaffiare una ragazzina turista di 8 anni che si ribella, lo prende a calci e pone fine alla sua sgangherata leadership. Il frocetto di cucina ci porta il pranzo, il fiume scorre, il Gilmer IV scivola, il ponte si carica, il sole gira e naturalmente, come non potrebbe essere altrimenti in questo idillio, i ragazzi si innamorano e si appartano sui ponti più alti. Gli adulti si chiedono a vicenda come potranno mai dimenticare un'esperienza simile. Viene la sera, crepuscolo da cartolina, ci si saluta per la notte. Siamo a metà del viaggio ma siamo gonfi di felicità come fiumi amazzonici in piena alla stagione delle piogge. Sembrava l'inferno ma era un paradiso.

lunedì 30 gennaio 2012

la nave per Iquitos

Da qui vorremmo andare a Iquitos, in nave. Sabato ne visitiamo una che sta per partire. Ora, sicuramente il nostro giudizio é impregnato di becero etnocentrismo e di sozzi pregiudizi culturali tipici di chi é stato costretto studiare Dante a partire dai 12 anni, ma ve lo ricordate il sesto canto dell'inferno, quello degli ingordi golosoni?

"Io sono al terzo cerchio, de la piova 
etterna, maladetta, fredda e greve; 
regola e qualità mai non l’è nova."

E qui piove senza sosta tanto che

"pute la terra che questo riceve."

In particolare quelle che sarebbero le banchine del porto sono stramaledettamente puzzolenti di un fango melmoso. Ci passiamo sopra mentre un'umanitá dolente di camalli amazzonici scarica i TIR parcheggiati nella mota. Saliamo a bordo e l'immagine é quella di una nave negriera del 16 simo secolo. Infinita gente sul ponte coperto

Elle giacean per terra tutte quante, 
fuor d’una ch’a seder si levò, ratto 
ch’ella ci vide passarsi davante. 

Salvo che le anime dannate, sulla nostra nave, stavano incappucciate e appese nelle loro amache. Strettissime una accanto all'altra. E il capitano che alza lo sguardo dai suoi fogli per darci il benvenuto ha la faccia della rassegnazione. Guardiamo le cabine, i bagni e poi piuttosto choccati

 ... trapassammo per sozza mistura 
de l’ombre e de la pioggia, a passi lenti, 
toccando un poco la vita futura; 

Insomma tristi e mogi ce ne siamo andati. Sembrava proprio che non ci fosse speranza di raggiungere Iquitos via fiume. Troppa pena. Allora abbiamo cercato compagnie che effettuano passaggi veloci e con motoscafi portano ad Nauta in 12 ore. Ma i prezzi sono molto alti e francamente incomprensibili (più di 500 euro). Mercoledì c'é un aereo a 100 euro ma ci perderemmo il fascino della crociera sul fiume. A questo punto siamo tornati all'inferno a vedere un'altra nave (sempre scaricata a mano nel fango puzzolente da camalli amazzonici a piedi nudi). Questa, visto che partirà Mercoledì, é ancora priva di anime dannate appese alle amache e inoltre ha delle cabine doppie con bagno privato. Forse quindi la crociera si può fare. Decidiamo di decidere domani su come muoverci e ce ne andiamo a giro per questa cittadina di 40 mila abitanti fondata all'inizio del settecento da un gesuita tedesco e che, come tutto in Amazonia, ha avuto il suo grande momento di gloria (e di schiavismo) a cavallo fra 8 e 900 con il boom della gomma.

domenica 29 gennaio 2012

Yurimaguas

Yurimaguas é un porto sul fiume Huallaga, un affluente del Marañon che a Iquitos, unendosi con il rio Ucayali diventa rio delle Amazzoni. Insomma Yurimaguas é un porto su un fiume che, largo più o meno come il Po', in questi giorni é carico e gonfio di pioggia. La città è interessante o almeno così pare. Tutto intorno ci sono villaggi di nativi che si muovono sull'acqua con le loro canoe e fanno riferimento a Yurimaguas per il commercio. É collegata con tutto il bacino amazzonico e le stive delle navi sono piene di legname, verdure, tricicli motorizzati e gente che si sposta per l'enorme area fluviale completamente priva di vie di comunicazione terrestri. Il turismo non é particolarmente sviluppato anche se nei dintorni sembra ci sia molto da vedere e da fare; pagando un paio di centinaia di Soles si possano vedere i delfini rosa, i pappagalli azzurri e i piraña neri. La popolazione è al 50% nativa ed è spesso fisicamente diversa dal resto del Perù. Rispetto alla montagna, si vede proprio che siamo in una città portuale. Non siamo particolarmente ricercati, nessuno sembra interessato ai gringos e ognuno sembra farsi molto i fatti propri. Poi però tutti sono gentili e dolci. Di certo poverissimi.

sabato 28 gennaio 2012

Andiamo a Yurimaguas

Il, lussureggiante patio nasconde al suo interno qualche decina di uccelli multicolori. Questi naturalmente si svegliano alle 5 con le prime luci (quando la caraffa di mojito sta esplicando con maggior forza il suo effetto trapanatorio sulle pareti occipitali del nostro cranio alcolizzato) e continuano imperterriti a dire cazzate fino alle 9. Gli uccellacci che gli albergatori di qui amano tenere in giardino sono spesso pappagalli parlanti per cui lo stormo non si limita a lanciare scomposte urla animali, ma le condisce con fonemi dal sapore spagnolesco (Olaaá, Olaaá, Currre, Currre). il risultato é un risveglio sgradevole. Piove e Tarapoto sotto la pioggia non ci piace (chissà perché un nostro amico di Trujillo la considera tanto bella?), decidiamo di fare l'ultimo pezzo di strada e di entrare nella regione di Loreto, grande quanto l'Italia e popolata da meno di novecentomila umani. Andremo a Yurimaguas sempre che la forte pioggia non abbia interrotto anche la strada oltre alle connessioni Internet.

venerdì 27 gennaio 2012

La selva tropicale

Oggi partiamo, lasciamo le Ande, andiamo giù. Piove a dirotto ma con 4 agili cambi di mezzo cambiamo struttura sociale ed ecosistema. Lasciamo, Chachapoyas, sbarchiamo a Pedro Ruiz, da qui per una strada ricchissima di cascate cadenti dalle ultime altezze montane, ormai ricoperte da vegetazione amazzonica, raggiungiamo Moyobamba. La troviamo troppo triste e misera, fangosa e piovosa, per cui con un nuovo balzo siamo a Tarapoto. Il mondo é cambiato, non solo il clima é caldo e umido, come si conviene a 7 gradi sud dall'equatore, ma anche le case sono un'altra cosa (generalmente baracche di legno come nei filmini cattolici sulla povertà). Le strade sono piene, stramaledette piene e intasate di carrozzine honda a tre ruote, sembra di essere a Saigon. La città sembra ricchissima e vivacissima (dalla nostra indagine socio-economica, svolta ad onor del vero, dopo una abbondante caraffa di mojito, non risulta chiaro se qui girino i soldi dei narcos, dei petrolieri o, come ci dice un ragazzo, i proventi di una ricca agricoltura. Probabilmenfe gli uni, gli altri e quegli altri). In ogni caso per oggi può bastare, ci ritiriamo nella nostra stanza, separata dal lussureggiante patio dell'albergo da una leggera zanzariera.

giovedì 26 gennaio 2012

Kuelap

Nel corso del V secolo DC per qualche ragione che pare ancora non chiarita, i Chacha cominciarono a costruire una città fortificata sulla cima di questa montagna sulla valle del fiume Utcubamba (fiume del cotone), lo stesso che scendendo dal passo del fango nero passa per Leymemamba. Per 10 secoli la città crebbe dentro le sue mura alte e forti e si propose come centro internazionale di culto. Quando gli Inca conquistarono questi territori costruirono un loro tempio in città e questa continuò a prosperare, con le sue casette rotonde dal tetto di paglia conico e slanciatissimo che ricordano in modo impressionante quelle dei villaggi elfi di Tolkien. Fino al 1700 la gente del posto ha continuato a seppellire i propri morti dentro le mura di Kuelap, poi il rito si é perso e oggi gli archeologi hanno poche risposte alle molte domande che sorgono visitando questa città fortezza e santuario. Per Ale e Grace comunque tutto risulta chiaro, essa fu fondata dagli extraterrestri e gli autori di questo blog non rappresentano altro che la reincarnazione del Gran Chaca in contatto tele-mentale con l'aldilà cosmico e a cui si devono rispetto e soprattutto contante propiziatorio all'intercessione benevolente. Il viaggio a Kuelap da Chachapoyas dura un paio d'ore d'autobus sulle solite strade della valle a strapiombo sull'Utcubamba, che ormai precorriamo senza il minimo timore, ed é senz'altro un dovere per chi dovesse capitare da queste parti. Kuelap si può anche raggiungere a piedi dal fondo valle in 4/5 ore di marcia partendo dal villaggio di Tingo. In alto vicino a Kuelap nel villaggio di Maria ci sono numerosi alberghetti per gli archeologi e i lavoratori degli scavi.

mercoledì 25 gennaio 2012

Si possono inserire i commenti


Visto l'incredibile numero di iscrizioni (ben 6 in 2 mesi), abbiamo deciso di lasciare libero spazio ai commenti. Chiunque e' libero di interagire con il blog come negli esempi qui sotto.

lunedì 23 gennaio 2012

Chachapoyas

Chachapoyas é un po' più piccola e un po' meno "nobile" di Cajamarca, ma é sempre gradevole arrivare in città e scegliersi un buon ristorante, vedere gringos e avere internet. Ci informiamo su come andare a Kuelaps, una città chachas che rivaleggia con col Machu Picchu per integrità e prendiamo informazioni su come spostarci ulteriormente verso il bacino amazzonico. Poi niente altro perché ci siamo alzati alle 5,30 e siamo ancora un po' stanchi dalla giornata di ieri.

domenica 22 gennaio 2012

La Congona

Siccome é domenica, siccome siamo in Peru, siccome, siccome... l'autobus oggi non parte. Potremmo prendere un taxi fino a Hyerba Buena, qualche km avanti e da lí, ci assicurano potremmo trovare tutti i passaggi che vogliamo per Chachapoyas. Ma siccome siamo in Peru non ci crediamo e decidiamo di rrestare in questa magnifica Leymebamba piena di bambini che giocano per strada, di cavalli e cavalieri che attraversano impettiti le vie del paese e di vecchi che chiacchierano in piazza. Don Julio, il prpprietario del nostro albergo ci consiglia di visitare la Congona, un villaggio chachas abbandonato, costruito intorno al 1100. Arrivarci é piuttosto duro, sono tre ore a piedi in salita e quando c'é il sole picchia duro e quando piove ci si bagna. Ma ne valeva la pena. Il villaggio é abbandonato anche da ogni tentativo di recupero, la vegetazione si sta rimangiando tutto, ma questo da un tono ancora più pittoresco al tutto. La strada poi é molto interessante, si fanno un sacco di incontri di gente che abita e lavora da quelle parti e si muove a piedi o a cavallo per varie ragioni.

sabato 21 gennaio 2012

Leymebamba

Leymebamba é una sorta di Macondo andino. Le macchine sono praticamente inesistenti, la gente si muove a cavallo e tutto intorno c'é un pascolo verdissimo e ruscelli gorgoglianti di montagna. Siamo venuti fino qui per incontrare i Chachapoyas, una popolazione andina che, essendo tanto a nord, é stata sottomessa per ultima dagli Inca, che venivano da sud. Cosí solo 50 anni dopo la loro conquista, sono arrivati gli spagnoli che, arrivando da nord, hanno incontrato i Chachas per primi tra i popoli dell'impero incaico. Così qui ~ ci spiega don Isidoro che ci raccoglie lungo la strada che sale al museo ~ hanno convissuto integre le tre culture Chachas, Inca e Spagnola. Il museo, che don Isidoro, un estremadurigno in missione qui da una ventina d'anni, ha fortemente contribuito a creare, é molto interessante e veramente ben fatto. La specialità sono le mummie che i Chachas riponevano in cimiteri aerei che ricordano moltissimo i pueblos dei Navajos dell'Arizona resi celebri da Tex. Purtroppo questi cimiteri distano una giornata di cavallo da qui e con queste piogge, non possiamo neanche pensare di raggiungerli. Peccato, perché la laguna de Los Condores, il lago sulle cui rive hanno trovato le mummie, in fotografia sembra bellissima. Ma siamo certi che nella prossima settimana, durante la quale staremo in territorio Chachas, avremo modo di visitare altre vestigia. E poi una ragione in più per ritornare un giorno da queste parti. Domani si va a Chachapoyas, la capitale della provincia. Contiamo molto su una doccia calda, qui non c'é.

venerdì 20 gennaio 2012

Da Celendin a Leymebamba

La Lonely Planet ci aveva avvisato che da queste parti, durante la stagione delle piogge, le strade possono venir interrotte da frane e problemi vari, ma siccome la Lonely Planet su queste zone del Peru, dice un sacco di cazzate, non abbiamo dato peso alle sue parole. L'impiegata della Virgen del Carmen, la compagnia di autobus ci aveva detto che la strada era libera, salvo per un tratto di un centinaio di metri in cui, causa frana avremmo dovuto trasbordare a piedi da un bus all'altro. In ogni caso partenza alle nove di mattina e per i primi km nessun problema, anzi dopo il primo passo di montagna ci eccitiamo alla vista del rio Marañon che vuol dire semplicemente alto corso del rio delle Amazzoni. Scendiamo dal passo a all'altezza di Balsa, un ponte ci porta sul versante del "passo del fango nero" (abra de barro negro). Capiamo perché nella cabina di guida, con l'autista, ci sono altri 4 ragazzi. La strada non é asfaltata (nessuna strada qui é asfaltata) e a causa delle fortissime piogge della notte precedente é spesso ostruita da pietre che i ragazzi scendono a spostare. Così si procede lentamente fino a quando ci chiamano tutti a terra: c'é da spostare un masso di un paio abbondante di metri cubi. Escono mazze, picchetti e lance di ferro. Dandosi il turno i ragazzi del gruppo passeggeri cominciano a demolire la pietra. Nel giro di un'ora e mezza la distruggono, gettano i resti nel precipizio a valle e si riparte. Mezzora dopo, una frana terrosa ci richiama tutti a terra per necessità di sbancamento. Si lavora di nuovo alacremente per una ventina di minuti poi l'autista decide di provare a passare e non riuscendoci dichiara la fine del viaggio; scarica i bagagli e ci dice di proseguire a piedi fino a quando non incontreremo l'autobus dalla direzione opposta. Ci carichiamo i nostri 35 kg in spalla e partiamo. Naturalmente comincia a piovere. In pochi minuti i peruviani ci distanziano perché solo noi non siamo andini, abbiamo più di 50 anni e abbiamo i bagagli. Dopo un'oretta incontriamo quello che evidentemente é l'autista dell'autobus inverso. Si chiama Luis e ci indica che dobbiamo abbandonare la strada per salire da un sentierino fangoso a zig zig lungo il pendio di prato in massima pendenza. Ci rifiutiamo assolutamente. Carichiamo Luis del carico di Grace e lui, spiegandoci che non ci può abbandonare, ci porta alla prima abitazione con "vivientes". Qui, per fortuna, ci sono due ragazzi del luogo che con entusiasmo si caricano i nostri zaini sulle spalle e, con noi liberi, cominciamo a salire il sentiero fangoso a zig zag sul prato in massima pendenza. Continua a piovere e nonostante le tele cerate siamo tutti dei pulcini. Luis fischia a qualcuno in alto e grida "de basar un caballo para la señora". Dopo poco mentre Grace é più distrutta che incazzata arriva un ragazzino col caballo. Carichiamo Grace e ripartiamo. Il cavallino non ce la fa sul fango scivoloso, riscarichiamo Grace, passiamo il fango, la rimettiamo in sella e via. Dopo un'oretta arriviamo in cima. Smette di piovere compare un'arcobaleno che neanche sulle Ande e vai col taxi (un ragazzo del luogo con la macchina é rimasto bloccato tra le due frane e arrotonda, direi con estremo profitto, la giornata). Siamo ad un ristorante. Ritroviamo sporchi, stanchi e incazzati tutti i passeggeri dell'autobus. Altri cento metri a piedi, superiamo con gli zaini l'ultima frana e siamo sul pullman. Da qui a Leymabamba scenderemo un'altra volta sola . A 3700metri "il passo del fango nero" sembra bellissimo al tramonto. Arriviamo alle 8 di sera.

giovedì 19 gennaio 2012

Cumbe Moyo e Celendin

Ieri abbiamo visitato Cumbe Mayo il fiume ricamato, in quechua. Si tratta di una località di montagna dove gli antichi cajamarquini, 3500 anni fa, hanno pensato bene di scavare nella roccia un acquedotto di una trentina di km per portare l'acqua alla loro città che in estate va soggetta alla siccità. Colmo delle meraviglie l'acquedotto si trova sullo spartiacque andino per cui devia il flusso dal Pacifico all'Atlantico. Siccome non pioveva siamo stati fortunatissimi; Combo Moyo si trova in una valle incantata dove gli spiriti semplici possono facilmente vedere le anime librarsi a mezz'aria. Noi non ne abbiamo viste ma in compenso, in quanto unici gringos, siamo stati coccolatissimi dal gruppo di turisti in cui eravamo inseriti. Tra questi una Garibaldi di Trujillo residente a Buenos Aires.
Gli scavi degli archeologi sono stati interrotti per l'inverno ma pare che alla bocca dell'acquedotto abbiamo trovato la piazza votiva con templi dedicati alla Pachamama, al Sole e all'Acqua. Se fossi uno studente passerei l'estate a Combo Moyo a lavorare negli scavi e a imparare spagnolo. Ma forse lo faccio anche da pensionato.
http://it.wikipedia.org/wiki/Cumbe_Mayo

Stamattina altre 5 ore di pullman per arrivar a Celendin, capitale della provincia. Percorso di montagna su pista ma con strapiombi spaventosi solo per pochi km. Provincia verdissima e isolatissima, sembra la Bolivia. Intanto l'Amazzonia si avvicina, a Caledin si moltiplicano gli occhi verdi e i frutti sconosciuti. Mangiato un caco giallo canarino, dalla consistenza della pesca con la buccia verde, spessa e vellutata. domattina ripartiamo subito (se la pioggia non interrompe la strada) per Leylabamba dove pensiamo di fermarci un paio di giorni a fare gli archeologi cioè a visitare musei e scavi.

martedì 17 gennaio 2012

I peruviani sono americani

Continua il soggiorno cajamarqueno. Ormai siamo degli specialisti di archeologia pre incaica e ci piace sempre di più. Ieri con la archeologa del museo universitario abbiamo avuto una lunga discussione alla fine abbiamo sciolto il dubbio: i peruviani sono e si sentono i discendenti delle popolazioni native andine. Gli spagnoli non sono per niente i loro antenati, insomma non é come in USA dove gli americani sono sostanzialmente discendenti di migranti euro africani. Il popolo peruviano come il popolo boliviano é un popolo americano anche piuttosto uniforme storicamente. Colpisce molto che il quechua sia parlato qui come nel nord dell'Argentina. Il ristorante migliore della città é comunque italiano.

domenica 15 gennaio 2012

Cajamarca

Siamo arrivati nella capitale della regione di Cajamarca. Qui é stato preso e giustiziato Atahualpa, l'ultimo imperatore Inca. La cittá ricorda molto Cusco anche se forse ha un'aria meno aristocratica. Domani la visiteremo meglio per ora c'é solo da segnalare che il viaggio per quanto comodo é stato caratterizzato dall'attraversamento di numerosi guadi. La pioggia ieri notte é caduta abbondante e i fiumi sono pienotti. Stiamo cominciando a pensare di raggiungere la Colombia via Fiume navigando il rio delle Amazzoni. Bho, chissá, vedremo.

sabato 14 gennaio 2012

Cajabamba

il viaggio verso Cajabamba é stato sicuramente ricco di vomito. I ragazzi piú giovani del pulmino non erano evidentemente abituati a curve e sobbalzi e cosí hanno allietato il viaggio con i profumi dei loro succhi intestinali. Dal punto di vista paesaggistico queste Ande peruane sono sempre piú simili agli appennini. Abbiamo raggiunto Cajamarca dopo tre ore di viaggio e abbiamo passato la giornata a gironzolare per il borgo. Sorprendente il museo del signor Miguel Rodriguez Sanchez che nella sua casa colleziona reperti fossili e archeologici della zona.Cosí abbiamo potuto toccare una enorme vertebra di un sauro non ancora identficato, un armadillo gigante e vari oggetti di scavo che di solito si vedono dietro bacheche di vetro. aconfermiamo quanto avevamo capito giá in Argentina: questa regione é il paradiso degli archeologi, c'é lavoro da fare per decine d'anni.

venerdì 13 gennaio 2012

Marcahuamachuco

A 10 km da Huamanchuco, si trova il sito archeologico di Marca Huamanchuco. Fino all'arrivo degli Inca la citta' e' stata, a partire dal 400, DC un importantissimo centro del nord Peru'. Le rovine versano in pessimo stato ma sono molto belle e interessanti. Il panorama e' splendido su queste Ande che ricordano molto gli appennini emiliani, con valle larghe, pascoli e calanchi ma sono quasi totalmente prive di rocce. La gente di qua sembra vivere come nella zona di Cusco, molta agricoltura e pastorizia, fattorie isolate e grossi centri per il commercio come appunto Huamachuco. Domani andiamo a Cajabamba sulla strada per Cajamarca.

giovedì 12 gennaio 2012

da Huanchaco a Huamachuco

Dopo 2 mesi a Huanchaco, finalmente ripartiamo. Huanchaco e' una cittadina sul Pacifico 500 km a nord di Lima, ci siamo arrivati per caso a inizio Novembre. All'inizio ci siamo rimasti perche' avevamo la cucina. Di certo eravamo stanchi di viaggiare e le ultime tapppe del Macchu Picchu e di Lima le avevamo percorse senza entusiasmi. Grace ha poi ricevuto dei lavori. In realta' ci siamo fermati cosi' a lungo perche' abbiamo conosciuto i dottori Baratta, Zani, Dolce e Greco esperti nella geografia, antropologia, economia e gastronomia di Huanchaco e abbiamo voluto approfondire con loro alcuni interessanti aspetti della vita locale. In sostanza siamo rimasti due mesi. Oggi siamo ripartiti, l'obiettivo e' a breve quello di ripassare le Ande da ovest a est e di entrare nel bacino del rio delle Amazzoni. Siccome siamo nella stagione delle piogge non sappiamo se le strade e le condizioni metereologiche ci permetteranno di arrivare a Toropoto ed eventualmente a Iquitos. Le Ande via terra sono sempre un dramma. Oggi per fare 180 km siamo rimasti sul pulman dalle 10 del mattino all 5 di sera. Superati i 4200 metri e quindi siamo tornati a masticare coca. Pero' non e' piovuto. Le montagne a tratti erano bellissime, la strada spesso non asfaltata. Abbiamo scoperto che gli ananas non spenzolano dagli alberi come banane ma assomigliano a carciofi e spuntano da terra sollevati da un trochettto. Huamachuco e' una citta mineraria, sembra bellina la scopriremo meglio domani.