venerdì 30 settembre 2011

Il mercato di Cochabamba


Il mercato di Cochabamba e' il centro commerciale più grande cha abbiamo mai visto. Ci arriviamo a piedi alle nove di mattina e ancora la citta' non si e' messa in moto. Compriamo due cappelli e e ci addentriamo. La confusione aumenta, tonnellate di banane, enormi quantità di angurie, zucche gigantesche, centinaia di metri dedicati ai pomodori, poi si passa al mais, quantità infinite, e piu' si avanza piu' aumenta il caos. Il traffico e' fermo e ovunque ci sono bancarelle di venditori, di pollo fritto, pesciolini fritti, minestre pronte, scaricatori di casse di carne, cereali, ortaggi, con carretta o senza. Gli ambulanti gridano i loro prodotti, sbiancanti per denti e biglietti della lotteria, succhi di ananas o di mango, gelatine, dolcetti. I venditori di stereo sembrano più contrabbandieri. Poi si passa al reparto animali con cuccioli di cane a non finire, galli coloratissimi, tacchini, galline, papere. Quando usciamo dal reparto, inizia la zona dei ciclisti, un vero paradiso del settore con tutti i pezzi immaginabili per centinaia di metri. Le montagne di scarpe da ginnastica fanno impressione. Poi il reparto prodotti tipici come ponchos, coperte andine e ninnoli boliviani. Vestiti, telefonini, cappelli. E ancora carni, piastrelle, sanitari per la casa, vetrai. Camminiamo per almeno un km in entrambi i lati. Il bazar di Istambul non e' nulla al confronto, l'unico paragone e' l'immensità della fiera del libro di Francoforte, ma li' non ci sono gli autobus coloratissimi in mezzo, nessuno grida e non c'e' sicuramente questo sole. Torniamo a casa e ci mettiamo a dormire. I giornali dicono che la marcia contro la strada riparte, per Evo il calvario none' ancora finito.
Nel pomeriggio compriamo i biglietti per Santa Cruz, la citta' più grande del Paese con un milione e mezzo di abitanti. Cosa ci faccia una citta' del genere in mezzo alla pianura tropicale a migliaia di km da San Paolo e Buenos Aires non lo capiamo. Lo scopriremo domani dopo nove ore di pullman.

giovedì 29 settembre 2011

Da Sucre a Cochabamba


L'aereo parte alla cinque del pomeriggio, per cui lasciamo i bagagli in albergo e andiamo fuori città a vedere un parco naturale dove sono state ritrovate varie impronte di dinosauro. Il parco e' un po' troppo holliwoodiano ma in ogni caso la ricostruzione dei sauri a formato naturale e' interessante soprattutto per capire quanto era grande quello grandissimo per intenderci quello che funge da pala meccanica ne gli antenati. Enorme!!! La sera primo viaggio interno in aereo e in 20 minuti siamo a Cochabamba.

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mercoledì 28 settembre 2011

Sucre il musef

Decidiamo che il giorno dopo andremo a Cochabamba in aereo, andiamo all'agenzia a comprare il biglietto, poi a visitare il museo antropologico musef che ha una collezione di maschere veramente notevole. Non si possono fare foto ma guardatevi questo link http://www.musef.org.bo/opac-tmpl/css/es/musef/mascaras/01.html
La sera conosciamo la prima italiana del viaggio una psicologa napoletana di nome Francesca. Viaggia sola ma non abbiamo gli sessi orari, forse la rivedremo a Cochabamba

martedì 27 settembre 2011

Sucre


Sucre e' la capitale amministrativa dello stato. E' una bella citta' coloniale con case basse e bianche. Nella piazza principale, c'è un presidio permanente di studenti universitari contro la costruzione della strada tra cochabamba e il nord del paese. Mercoledì scorso gli abitanti indigeni della riserva naturale interessata dalla strada sono stati duramente caricati dalla polizia. Il sindacato ha organizzato uno scoperò generale di protesta e oggi il corte per la citta' e' numerosissimo con striscioni sindacali e studenteschi. Comprendere la situazione politica boliviana e' sempre piu' difficile e così ci abbandoniamo ai piaceri che ci sono stati negati nelle ultime due settimane, te con torta al limone, spuntini nei ristoranti panoramici e naturalmente visita all'unico museo che non chiude per sciopero. Si tratta del chiosco francescano su una collina che domina la citta'. Molto interessante soprattutto il coro ligneo della chiesa. La sera finalmente ci rincontriamo con Marta e Ivert e per festeggiare andiamo a berci come da tradizione tre bottiglie di rosso boliviano al ristorante in collina.

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lunedì 26 settembre 2011

Sucre


Con l'autobus partiamo per Sucre, Marta e Ivert ci hanno scritto una mail dicendoci che e' bellissima. Prima di partire siamo sorpresi ella bellezza, efficenza pulizia della stazione degli autobus di Potosi. Sembra di essere a Francoforte e non sulle montagne boliviane. Il viaggio dura 5 ore e si scende a 2500 metri. Quando arriviamo siamo in un altro mondo. Le poverissime case di fango della montagna boliviana lasciano il posto a ville con piscina, le strade sono tutte asfaltate e il traffico automobilistico e' intenso. Il clima e'decisamente migliore e soprattutto si respira con facilita'. Dopo varie notti d'inferno a 4000 metri con la bocca secca e continui risvegli con la sensazione di affogare, di soffocare per la mancanza d'ossigeno, Sucre ci sembra un paradiso. La sensazione e' confermata quando entriamo nel nostro nuovo albergo con patio con giardino tropicale e pareti arancio. La stanza e' luminosa, spaziosa e aerata. Un paradiso. La sera ristorante nella sede dell'Alliance francaise, dove ci permettiamo una zuppa di pesce che neanche in Corsica. I camerieri sono cordiali e sorridenti, sanno cosa fare, nessun paragone con i musoni, imbranati della montagna.

domenica 25 settembre 2011

Potosi

2Stamattina Tonio,un ex minatore oggi guida turistica, ci ha portati in giro per la città raccontandoci la storia di Potosi, che e' la storia della Bolivia e che in molti casi e' la storia del mondo moderno. Potosi nel 17imo secolo aveva più abitanti di Londra e Parigi, era un centro mondiale di estrazione dell'argento e aveva la vivacità commerciale, culturale e politica di una capitale. Ci vivevano genti arrivate da ogni dove in cerca di fortuna, dentro una cornice di schiavitù e chiusura sociale, con conseguenti continue rivolte, e tentativi di cambiamento. Ora e' governata dal partito dei minatori che si chiama Accion social fondato e guidato da un certo Joaqunio, ex sindaco ed ora senatore. Secondo Tonio i minatori sono classe media e non partecipano al governo di Evo Morales perché non hanno nessuna impronta indigenista, tratto invece che caratterizza il governo del MAS. La Bolivia appare politicamente sempre più' complicata. Sempre in mattinata abbiamo visitato insieme ad amici, Marta e Iver, che da qualche giorno viaggiano con noi, la storica zecca della città, molto interessante con una serie di macchine storiche per il conio della moneta dal 16imo al 20imo secolo che utilizzavano nell'ordine, forza umana, animale, vapore e elettricità. Pomeriggio di scacco.


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venerdì 23 settembre 2011

Verso Potosi

La mattina prendiamo l'autobus per Potosi. Nuovo viaggio da favola con tre o quattro passi abbondantemente sopra i 4000 metri e passaggi dentro quebrada bellissime. Piu' della meta del percorso e' su strada sterrata, ogni tanto si incrociano villaggi minerari impensabili ma ognuno, per quanto misero e sperduto, ha uno stadio e un campo coperto per il basket e la pallavolo. Lo sforzo del governo per migliorare la strada e' imponente, moltissimi sono i cantieri aperti per sbancamenti, costruzione di ponti, asfaltature. Dopo 5 ore arriviamo a Potosi.
Questa citta' ha una storia notevole alle spalle. E' alla base del Cerro Rico, un enorme cono alto più' di 5000 metri che custodiva nella sua pancia varie tonnellate d'argento che gli spagnoli hanno ampiamente sfruttato grazie a schiavi africani e indiani per più di tre secoli (8 milioni di morti sul lavoro!!).


Intorno al vulcano Tulupa

Stamattina abbiamo fatto una passeggiata bellissima costeggiando il vulcano lungo la strada sterrata che da Coqueza Porta a Tahua che e' il villaggio più' grande di questa regione aymara. A Tahua pero' non siamo arrivati perché durante il percorso ci siamo fermati al museo locale inventato prodotto e gestito da un simpatico e sordo signore aymara che da anni raccoglie anfore antiche, mummie e pietre totemiche disseminate nei campi intorno. Non ci ricordiamo il nome del signore ma senz'altro sta facendo un lavoro importantissimo. Lui vive nella sua casa accanto al museo fatta in pietra, col tetto di pelle di lama ricoperta di frasche. Dopo il museo abbiamo camminato ancora per un'ora ma poi siamo dovuti tornare perché la jeep che ci doveva riportare a a Uyuni partiva poco dopo le due. Il ritorno l'abbiamo percorso sulla striscia verde del pascolo che separa la montagna dal salar. Sono state due ore magnifiche sotto un sole imponente in mezzo a Lama, vigogna, flamingos e altri uccelli. All'albergo l'autista ci aspettava un po' impaziente, abbiamo mangiato con i nostri nuovi compagni di viaggio e poi siamo partiti. Nuovo attraversamento del Salar fino all'isola Incahaua, bellissimo scoglio verde ricoperto di cactus giganti ma che noi non abbiamo visitato perché troppo stanchi dalle quattro ore di cammino mattutino ( siamo sempre a 3700 metri e si fa fatica). Poi ritorno ad Uyuni. Della sera precedente va ricordato il cielo stellato che non ha paragone con ogni cielo visto prima. La via lattea scolpita nel nero e le migliaia di stelle davano un'impressione che non e' banale definire eccezionale.


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giovedì 22 settembre 2011

Coqueza

Siamo a Coqueza, sono le 7 di sera. Quando ci ha salutato, Rey, un vecchio signore dell'Oregon con barba e capelli lunghi e bianchi, ci ha detto, "vai, siete alla frontiera, buon divertimento". Coqueza e' un villaggio Aymara, sulla riva nord del salar, alle pendici del vulcano Tunupa. Ci si arriva solo in fuori strada, o con il cammion del villaggio che porta le donne al mercato il giovedì mattina e le riporta a casa il venerdì. Ci si arriva come si arriva a Stromboli, o a Capraia, come si arriva a terra da un viaggio in barca. Il salar, bianco come il sale ( essendo fatto di sale) e' enorme. Lo attraversiamo con Albert, ora autista ma vero scalatore, uno che ha salito l'Aconcagua. Il vulcano sembra un enorme altare, una divinità con una spruzzata di neve che sembrano i capelli del Dio del giudizio universale. Davanti a Coquesa, prima del bianco del lago c'è una striscia verdissima di erbetta dove pascolano i lama. Dietro un villaggio di pietra e poi la strada che sale al vulcano. In 4 ore si arriva a 5400 metri, basta averne voglia. Noi con un po' di foglie di coca, che ormai utilizziamo con piacere, siamo saliti per poco più di un 'ora. Al ritorno ci ha fermato Walter all'entrata del paese: eravamo saliti verso la montagna senza pagare la tassa di soggiorno che le 15 famiglie impongono ai turisti. Siamo alloggiati in un albergo di costruito col sale, anche il letto e' di sale. Fa un freddo barbino ma il tramonto e' stato bellissimo con il salar che diventava, azzurro, poi grigio e con gli ultimi flamingos che tuffavano il becco nell'acqua gelida del Salar de Uyuni.
Stamattina prima di arrivare qui, a Colchani, abbiamo visitato una fabbrica del sale e grazie agli interessi commerciali vivacissimi di Ray abbiamo capito come funziona l'economia salifera degli abitanti di questo paesino sul lato est del salar. Poi una lunga corsa in jeep fino a qui dove abbiamo salutato i nostri compagni di viaggio (oltre a Ray e Albert, due ragazze tedesche Regina e un'altra di cui non ricordiamo il nome, un giapponese e un canadese di origini cinesi) e ci siamo avventurati lungo la frontiera. In albergo non c'è acqua ora e gli ospiti sono un po' delusi.

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martedì 20 settembre 2011

Uyuni

Oggi dobbiamo trovare il modo di visitare il famoso Salar, un'estensione di sale immensa che sembra bellissima. Appena alzati pero' Alessandro sente un prurito sul braccio. Si tratta di qualche puntino rosso. Saranno pulci? Pidocchi? In farmacia la signora pensa che non si tratti di allergia e ci da' delle creme contro i pidocchi. Siamo abbattuti, affranti. Come si fa con i pidocchi e 3600 metri a 6 ore di pista da ogni città? Non e' possibile, torniamo a lavacri in albergo, portiamo tutto in lavanderia, puliamo gli zaini. Poi il prurito passa, Grace non mostra segni di morsi di pidocchi o pulci, forse si tratta di allergia. Ci riprendiamo, fissiamo con un tour operator un tour di due giorni nel salar e ci prepariamo alla partenza.


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lunedì 19 settembre 2011

Atocha

Siamo partiti da Tupiza e subito abbiamo capito che il vero viaggio in Bolivia stava cominciando. Abbiamo scelto di andare ad Uyuni con un autobus di linea. Il giorno prima avevamo letto sul giornale locale che i fondi per asfaltare la strada erano stati dirottati su un'altra opera ma pensavamo che la strada fosse messa male ma che avesse gia' conosciuto l'asfalto. Non era cosi', appena usciti dalla stazione dell'autobus abbiamo attraversato lo stradone, ovvero il pezzo della Panamericana che unisce La Paz all'Argentina e subito abbiamo svoltato a destra per una strada sterrata del tutto identica a quelle che avevamo visto nella passeggiata a cavallo. Sull'autobus eravamo gli unici turisti, gli altri enormi donnone rubiconde con la bombetta e piccoli minutissimi mariti al fianco. Cominciamo a salire, saliamo, saliamo ancora, il GPS segna 3900 metri, sembra che al salita finisca ma dietro la curva la strada sale ancora. Alla fine supereremo i 4200 metri. Alla nostra destra compare un cono altissimo, sembra il Cervino, chissà come si chiama, chissà quanto e' alto. Per qualche ora gli giriamo intorno mentre la strada sale e scende per le valli brulle e desolate. Dopo 3 ore raggiungiamo Atocha. Squallida e povera città di montagna nella polvere e nel nulla. L'autobus si ferma facciamo una sosta, scendiamo. Le donne tranquillamente si tirano giù le mutande si accovacciano e fanno la pipi' incuranti del luogo pubblico. Alcuni maialini razzolano intorno mentre i bambini giocano dentro i contenitori arrugginiti dell'immondizia. L'autobus ha qualche problema agli ammortizzatori e 4 o 5 meccanici, sdraiati sotto il motore nella polvere maneggiano con pietre e attrezzi vari per rimettere tutto a posto. Dopo mezz'ora si riparte. Saliamo ancora un po' e poi l' inaspettato; entriamo nel deserto, un vero deserto, sembra il Sahara, la strada adesso e' solo una direzione di marcia e si allarga per decine di metri nella sabbia. Siamo su un altopiano, le nuvole non riguardano lo spazio in alto, ma quello di lato. Spuntano da sotto l'orizzonte dove la pianura finisce. Qualche picco e' coperto di neve. Di tanto in tanto greggi di Lama ci indicano che un villaggio, una casa e' vicina. Branchi di Vigogne ( lama selvatici, tipo cerbiatti) contribuiscono ad aumentare il senso di esotico. Vediamo qualche jeep dei tour operator sfrecciare lonatano. Qualche volta l'autobus si ferma nei villaggi e le donne scendono e corrono a casa.
Arriviamo a Uyuni verso le 5 di sera, cerchiamo un albergo e andiamo a mangiare. Scopriamo la sopa de quinoia. Buonissima.

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domenica 18 settembre 2011

Tupiza

Siamo arrivati a in Bolivia da 4 giorni. La città e' un piccolo e fiorente centro commerciale sul fiume Tupiza. Non e' granché come città, si vede che e' una tipica città coloniale spagnola ma senza lo splendore di molte di esse. E' una sonnacchiosa città provinciale che si anima col mercato per le poverissime popolazioni contadine dei paesini dei dintorni. Dal punto di vista paesaggistico Tupiza e' sorprendente. Sta a 3000 metri di altezza in un kanion che qui chiamano quebrada di rocce rosso fuoco. Abbiamo abbandonato Katja che ci aveva accompagnati negli ultimi giorni perché lei aveva voglia di farsi un giro di 4 giorni in fuoristrada attraverso le montagne del sud Bolivia per finire al mitico salar di Uyuni. Noi abbiamo preferito prendercela comoda nel nostro albergo con piscina e abbiamo iniziato con un giro a cavallo di tre ore. La cosa ci e' piaciuta molto e così abbiamo deciso di farne un'altro di due giorni. A parte il lato avventura, il tour ci ha portato a vedere posti che non avremmo mai pensato possibili. I paesini intorno a Tupiza sono polverosi gruppi di baracche di fango con tetto di fango e paglia. Abbiamo dormito in un villaggio di 75 abitanti chiamato Espicaya con una bellissima chiesa sotto una roccia lunare. Per arrivare a Tupiza ci sono 25 km di strada sterrata e il paesino più vicino con un negozietto e' a 10 km, si chiama Cacha Bamba. Dopo due giorni con i nostri cavalli, le nostre guide e una tedesca di Amburgo di nome Ina, siamo tornati a Tupiza rotti, disidratati e polverosissimi. Qui e' un deserto di montagna e siamo al colmo della stagione secca. Niente di grave, stamattina siamo di muovo in piedi o meglio sdraiati al bordo della nostra piscina a leggere il giornale. Domattina partiamo per Uyuni.


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martedì 13 settembre 2011

Tilcara e dintorni

Oggi abbiamo visitato un sito archelogico qui vicino. Mostra gli scavi di una vecchia città abbandonata da cinque secoli chiamta Pulcara' (fortezza in quechua). Gli scavi effettuati da ricercatori del primo novecento ( Debenedetti, Casanove e Ambrosetti) non ci sono piaciuti troppo. Tutto e' stato ricostruito e le case del sito sembrano migliori di quelle utilizzate oggi da contadini di qua. Poi siamo stati al museo di Tilcara ma non abbiamo scoperto cose particolarmente interessanti. Alle 12 siamo tornati in albergo per finire il lavoro di Grace. Domani partiamo per la Bolivia forse viene con noi Katja una ragazza tedesca che abbiamo incontrato al bar.


lunedì 12 settembre 2011

Tilcara

Stamattina Alessandro e' andato a piedi e visitare le comunità che abitano sopra Tilcara. Dopo 2 ore di marcia e' arrivato ad una scuola elementare dove 16 bambini imparano in una pluriclasse tenuta da un maestro di nome Richard che va ogni giorno a piedi fin lassù. In quattro ore di lezione al giorno i bambini cercano di imparare a stare al mondo, con scarsi risultati, dice Richard. La comunità si chiama Ayllu Mama Qolla, conta 80 membri distribuiti in 11 case sparse su un territorio sopra i 3000 metri piuttosto arido e contraddistinto da cactus. Sono di lingua quechua e da prima degli Inca cioè da più di 700 anni hanno costruito delle terrazze di pietra sulla montagna dove coltivano i loro prodotti.
Ieri sera concerto in un ristorante della piazza principale di tilcara. Suonavano i Tar Puy, un gruppo folk di Marmara', un paese impossibile a 20 km da Tilcara. Il gruppo faceva musica andina, il pubblico era composto in gran parte da turisti argentini oltre che da qualche straniero (Spagna, Francia, Israele, Stati Uniti) e sembrava molto coinvolto. Ale ha provato a masticare le foglie di coca offerte da una coppia apparentemente con lei trans e lui tilcaregno in visita alla famiglia Le foglie sono sta molto utili per la passeggiata del giorno dopo.
Stasera alla nostra pensione c'è una parrillada cioè un barbecue ma non sappiamo se parteciperemo. Siamo un po' asociali ma Ale non mangia carne e Grace e' schifata all'idea di mangiare carne di Lama che qui e' molto diffusa. Vedremo.


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domenica 11 settembre 2011

Jujuy

Jujuy alla fine e' stata un po' una delusione. La città non offre un granché. E' la prima città veramente del terzo mondo del nostro viaggio e non avendolo capito subito siamo finiti in una pensione piuttosto misera anche se molto economica. Il museo storico era pero' molto interessante e finalmente abbiamo capito la storia Argentina. L'indipendenza e' arrivata come in tutto l'ex impero spagnolo quando nel 1810 Napoleone invade la Spagna e detronizza il re. Dal Messico alla Patagonia tutti insorgono e l'Argentina guidata dal Generale Belgrano viene liberata. Dopo il congresso di Vienna gli imperiali ritornano e sconfiggono due volte Belgrano ma alla fine ce la fanno. Da quel momento iniziano 30 anni di guerra civile per determinare il ruolo politico della capitale rispetto alle provincie federate che sono di fatto comandate da caudillo locali. Dopo inteminabili guerra in cui la parte del leone e' stata giocata dal generale Mitre, Buenos Aires riesce ad imporsi e inizia il periodo di progresso, che con capitali inglesi e manovalanza italiana immigrata fanno dell'Argentina uno stato moderno. A parte la storia, ottima cena con buon vino, ( stavolta abbiamo abbandonato il nostro caro malbec per concederci un misto di malbec e altri vitigni) e poi a nanna. La mattina dopo qualche problema per via dello stato orrendo in cui versava la città. Dopo un sabato sera di bagordi era sporchissima e non c'era un bar aperto per la colazione. Sul pullman abbiamo dediso di non scendere a Purmamarca,un piccolo villaggetto di montagna in mezzo alla quebrada ma di proseguire per Tilcara. Tilcara e' a 2500 metri circondata da montagne brulle, ma dai colori magnifici. E' un villaggio andino con le donne con le bombette che masticano coca. Non sappiamo ancora come sarà la Bolivia ma deve essere un po' così. L'albergo e' gestito da una famiglia portegna che si e' trasferita qui qualche anno fa. La figlia si e' sposata un turista italiano di passaggio e ora insegna spagnolo a Milano. Grace come al solito ha cominciato a lavorare. Nei dintorni ci sono cose interessanti da vedere come villaggi pre incamici e cascate nei monti. Vedremo

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venerdì 9 settembre 2011

Cafayate e dintorni

Ieri l'altro siamo stati in bicicletta a vedere una cascata, ma era troppo lontana e dopo 5 km di sterrato ci siamo fermati perché non ce la facevamo più. Fuori Cafayate siamo proprio nel terzo mondo. La cosa più' interessante della scampagnata e' stata la vista di un tipico altare in pietra costruito dai discendenti delle popolazione indigene che ancora venerano la pacha matta, la madre terra. Un tipo ci ha spiegato che lui non ha nessun contatto col cristianesimo ma segue solo questa arcaica religione. Tornati a Cafayate abbiamo visitato il museo archeologico tenuto da una simpatica vecchietta Helga Mozzoni, moglie di Rodolfo Bravo morto 20 anni fa e appassionato ricercatore e collezionista di vasi funerari e suppellettili vari della popolazione autoctona. Helga e' un tipo interessante con molta voglia di parlare di tutto. Il suo consiglio e' stato di andare a visitare San Carlos (Borromeo) un paesino a 20 km.
In effetti Alessandro ci e' andato il giorno dopo mentre Grace e' rimasta in albergo a lavorare. Causa il lavoro di Grace abbiamo deciso di rimanere a Cafayate 2 giorni di più.. Pero' intanto abbiamo imparato a muoverci con i micros, i taxi collettivi che non costano meno egli autobus ma sono più veloci e forse comodi. Lo scopriremo domani nel lungo trasferimento a Jujuy e forse fino a Parmamarca, un villaggio nel centro della quebrada de Humahuaca che le guide e le testimonianze indicano come bellissimo e d'altra parte e' considerato dall' UNESCO patrimonio storico e culturale dell'umanita'


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lunedì 5 settembre 2011

Cafayate

Siamo partiti per Cafayate dopo il giro dei musei di Salta. Molto bello e interessnte il museo storico sulla piazza principale, le carrozze, i mobili in stile brasiliano imperiale, le informazioni sull'attraversamento della Pampa da Buenos Aires a Salta che richiedeva 40gg con la carrozza. Il servizio postale e'attivo in Argentina dalla fine del 700 con posti di ferma e di ristoro ogni 4 /5 miglia imperiali cioè' una 20ina di KM. Bello anche il terrazzo del museo in un vecchio palazzo coloniale. Il museo antropologico dell'alta montagna ci ha dato altre intersaanti informazioni sugli Inca e sulle loro credenze e riti religiosi nonché sulla loro organizzazione socio politica. Di certo ammazzavano i bambini ubriacandoli con liquore di mais per fare sacrifici religiosi

Il viaggio verso Cafayafe e' li ghetto 180 KM per 4 h di autobus puzzolente ma la quebrada de concias e' pittorescaa. Il primo impatto con l'interno rurale dell'Argentina mostra una povertà inaspettata sembra più il Messico tropicale che non la romantica città del tango e di Borges.


sabato 3 settembre 2011

Salta


Oggi siamo stati in giro a piedi per Salta, bella città coloniale che ci ha ricordato molto le città messicane. Mangiato minestra di verdura ottima che il cameriere ha definito boliviana. Abbiamo visitato il museo antropologico sotto le scale che conducono al colle sovrastante la città. Al museo abbiamo scoperto che gli Inca sono arrivati qua nel 1450 e siccome gli spagnoli li hanno sconfitti già nel 1536 il loro impero non e' durato neanche 100 anni. Prima qui vivevano popolazioni locali dal 10 mila A.C. Quello popolazioni, secondo il museo, ancora vivono nelle valli qua attorno con una economia di sussistenza agricola. Domani andremo a Cafayate, (pronuncia cafajate) e vedremo cosa e' questa Argentina. Di certo molto diversa da B.A., la gente India e' molto piu' numerosa anche se non maggioritaria. Le donne sembrano spagnole, molto truccate e curate e non ricordano le acqua e sapone proletarie della metropolitana di Buenos Aires. Nelle bancarelle si cominciano a vedere i tipici prodotti di lana andini. La cattedrale era magnificente e piena di gente alla messa nonostante fosse lunedì. Le code alle banche ovunque e stranissime. Il mercato coperto pienissimo e vivace come deve essere un mercato coperto. Una cotoletta alla milanese impanata e fritta con verdura costa 3 pesos cioè 0,50€
Domattina andiamo a vedere il museo storico poi all'una prendiamo l'autobus per Cafayate.

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venerdì 2 settembre 2011

Ricominciamo in Sudamerica

Riprendiamo il diario con il viaggio attraverso il Sudamerica. Dopo 15 giorni di lavoro a Buenos Aires, Alessandro e' stato raggiunto da Grace e il giorno dopo, il 2 settembre 2011 siamo partiti in aereo per Salta, una città del nord ovest dell'Argentina.


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