mercoledì 1 febbraio 2012

Dunque l'inferno può essere la fenemonologia del paradiso

Salpiamo verso le sei di sera dal porto di Yurimaguas con il Gilmer IV. Come vicino di stanza ci ritroviamo un sosia di Jack Nicholson (che avevamo già incontrato a Kuelap e che in realtà é un prof porteño [di Bueno Aires] di economia). La nave é pienissima di amache stese, la nostra cabina non é male e la navigazione appare tranquilla non si sentono vibrazioni e il rumore del motore é praticamente inesistente. Non fa caldo, spazzato via da un provvidenziale acquazzone dopo due giorni asciutti e senza nubi. Dormiamo tranquilli e ci alziamo alle cinque con la prima luce. La nave si sveglia e lentamente inizia a carburare. Il frocetto della cucina ci porta la colazione. Jack Nicholson, con uno scalda acqua elettrico, ci aiuta a preparare il caffè; la vita si anima. Poco alla volta capiamo cosa succede: quando dalla riva qualcuno sventola una camicia, la lancia di bordo si stacca dalla nave e va a recuperare i nuovi passeggeri da una capanna a riva, oppure li scarica e la nave manco rallenta. Ad un certo punto attracchiamo. Quelli di San Luis hanno 40 tonnellate di mais da portare a Iquitos. in un'oretta i ragazzi del villaggio caricano i 600 sacchi da 40 kg sul ponte più basso della nave e si riparte. Siamo esterrefatti, noi passeggeri siamo turisti, pochissimi i gringos, 4 o 5, ma pur essendo peruviani non sappiamo nulla della vita della selva. Veniamo dalla città o dalla montagna, siamo impiegati e insegnanti in vacanza e i villaggi di legno e paglia sulla riva del fiume sono una autentica novità per tutti. Ma sicuramente la peruvianità ci ha aiutato a sistemarci in duecento appesi ad un amaca senza gridare, sporcare, litigare, fare casino. Sulla nave é evidentissimo che regna un ordine disciplinato e sereno inimmaginabile altrove. Il numero di bambini é notevole ma nessuna confusione. Le fermate ai villaggi (pittoreschi, spesso parzialmente inondati sotto le palafitte ma eleganti nella loro urbanistica indigena) sono frequenti. I locali salgono a bordo per vendere frutti dai nomi stranissimi e dimenticati dopo 10 minuti (sapolo, macamos, taperiba), pappagallini colorati detti lori, pesci cotti o crudi, polpette di banana verde, uova e pesce. Durante le fermate i ragazzi caricano il ponte basso di sacchi di aguitas, grappoli di platanos e chissà cos'altro. Intanto siccome é carnevale e ogni scherzo vale, i ragazzini del villaggio tirano sui passeggeri della nave palloncini pieni d'acqua. Quando si riparte le canoe locali tornano lentamente alle capanne, accompagnate dai delfini d'acqua dolce, numerosi sopratutto nei porticcioli alle confluenze dei fiumi mentre noi scivoliamo lontani. Ma poco dopo un nuovo villaggio, una nuova richiesta di attracco e si ricomincia. Alle 11, quando abbiamo assaggiato di tutto e siamo sazi e soddisfatti, il rio Huallaga, su cui stiamo navigando, largo quanto il Po', si butta nel Rio Marañon e diventiamo immensi, più del Mississippi a New Orleans, più di quanto si possa immaginare. Sul ponte, sempre più carico di frutti della selva in marcia verso il mercato di Iquitos, continua a fervere l'attività, perché bisogna sistemare meglio i sacchi, ricoprirli coi teli perché potrebbe piovere... Anzi piove, pioviggina ma non ci distrae, noi passeggeri, dal nostro daffare. Intanto dobbiamo capire dove siamo, come si chiama il fiume che stiamo incrociando, se sia vera la diceria che arriva fino all'Ecuador. Poi dobbiamo conoscerci, sapere da dove veniamo, cosa facciamo. Dobbiamo stare dietro ai bambini che ormai hanno preso coraggio e saltano per tutta la nave anche eccitati dai loro coetanei dei villaggi che si rotolano nel fango, si tuffano nel fiume, giocano in canoa e... ci tirano palloncini pieni d'acqua. Dobbiamo organizzarci per rispondere al fuoco. Per un po' si incarica di dirigere l'offensiva un ragazzo argentino con curiose similitudini col Che, (entrambi di Rosario ed entrambi medici) ma un colpo sbagliato lo porta ad annaffiare una ragazzina turista di 8 anni che si ribella, lo prende a calci e pone fine alla sua sgangherata leadership. Il frocetto di cucina ci porta il pranzo, il fiume scorre, il Gilmer IV scivola, il ponte si carica, il sole gira e naturalmente, come non potrebbe essere altrimenti in questo idillio, i ragazzi si innamorano e si appartano sui ponti più alti. Gli adulti si chiedono a vicenda come potranno mai dimenticare un'esperienza simile. Viene la sera, crepuscolo da cartolina, ci si saluta per la notte. Siamo a metà del viaggio ma siamo gonfi di felicità come fiumi amazzonici in piena alla stagione delle piogge. Sembrava l'inferno ma era un paradiso.

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