domenica 8 aprile 2012

Marzo in Colombia

8 aprile


Mamma mia é passato più di un mese dall'ultimo aggiornamento. Vediamo di riassumere i nostri movimenti delle ultime settimane. Abbiamo lasciato La Boquilla il 9 di marzo perché per quanto stessimo veramente bene e ci fossimo ben ambientati ci sembrava fosse venuto il momento di scrollarci di dosso la sedentarietà. Con un taxi collettivo ci siamo trasferiti a Santa Marta, sempre sul mare ma un 200 km più ad est, verso la frontiera col Venezuela. La città non é molto grande, ma é un porto commerciale importante. È costruita su una bella baia con mare blu intenso e spiaggia sotto le palme. Il centro storico è carino anche se non paragonabile alla magnificenza di Cartagena. Ci é morto nel 1830 Simon Bolivar il libertador degli attuali stati di Venezuela, Panama, Ecuador, Peru e Bolivia dall'impero spagnolo. Nella finca appena fuori città in cui è morto oggi c'é un interessante museo sulla sua vita e una sorta di altare della patria di tutti i sudamericani.

Alle spalle della città inizia una massiccio montuoso che supera i 6000 metri, la Sierra nevada, regno dell'etnia Tayrona che ancora oggi la abita preservando una cultura precolombiana evidentemente molto ricca. Noi ci siamo stabiliti in una fantastica pensione a Taganga, 5/6 km da Santa Marta. Il villaggio é incantevole ai piedi della montagna su una insenatura che ricorda la semiarida costa sarda. Gli abitanti sono pescatori poveri ma molti lavorano col turismo che sembra essere una notevole fonte di reddito. Taganga é entrata a far parte del cosiddetto gringos trail e centinaia di ragazzi europei e nordamericani passano qui qualche giorno del loro viaggio in Colombia dando al paese l'aspetto di un college e alle sue notti i colori della festa. Anche qui Grace doveva lavorare poi Ale si é beccato un virus per cui ci siamo fermati fino al 27 marzo.

Prima di lasciare la regione abbiamo fatto un giro nel selvaggio parco naturale Tayrona, un paradiso terrestre senza strade dove ci si muove solo a piedi tra spiagge mozzafiato e torrenti verdissimi dove centinaia di trampolieri beccheggiano felici gli avanotti che madre natura fornisce loro a milioni. Tra una spiaggia e l'altra possono incontrarsi giardini di palme, bananeti e montagne ricoperte di foreste dove albergano scimmie, opossum, iguane, pappagalli e naturalmente indigeni tayrona, vestiti di cotone bianco con i capelli lunghi e neri sciolti sulle spalle che sfrecciano sui loro cavalli albini tra le spiagge di corallo. Insomma il parco ci é piaciuto molto e ne siamo usciti solo per esaurimento contanti.

La tappa seguente é stata la città di Riohacha, 180 km ad est di Santa Marta, capitale della semidesertica penisola della Guajira che la Colombia condivide col Venezuela.
La città non é bellissima ma si vede che qui si arriva alla fine del mondo civile. Le automobili sono pochissime e i bambini sono in strada a giocare. Il mare non é entusiasmante ma i pesci che i pescatori offrono sono uno spettacolo, molto più grossi che negli altri porti, spesso si vedono i merlin (quello dell'uomo e il mare) ma anche altre razze giganti di cui é difficile ricordare il nome. Si mangia l'aragosta a poco prezzo nei ristoranti sul lungomare e soprattutto sul lungomare cominciano a vedersi i wayuu, la gente che abita da sempre questa regione senza che nessuno sia mai riuscito a sottometterli.

Dopo due giorni di studio sul da farsi martedì 3 Aprile siamo partiti per Cabo de la Vela. Ci siamo arrivati dopo tre ore di attraversamento del deserto sul cassone di un camioncino che trasportava mercanzie. I wayuu vivono di pesca lungo la costa in baracche di legno. Anche il paesino di Cabo de la Vela non é altro che un gruppo di baracche ma l'incanto della sua spiaggia ha sviluppato il turismo e così molti wayuu affittano tettoie di paglia sulla spiaggia per appenderci l'amaca, oppure baracche di paglia con il letto. Noi fortunatissimi avevamo una cameretta con bagno proprio sul mare.
Il posto era di un incanto senza fine ma siamo nella settimana santa che in Colombia equivale al nostro ferragosto e il villaggio ha cominciato a riempirsi. In Colombia il giovanilismo non si é sviluppato, i ragazzi girano a coppie di fidanzati, al massimo in quattro. Qui il casino viene dalle sterminate famiglie. Si muovono in nuclei compatti tri o quadrigenerazionali, si pigiano all'inverosimile nei loro gipponi (il turismo é riservato alle classi abbienti) e poi esplodono sulla spiaggia e nei ristoranti con tavolate infinite. Il massimo della festa si ottiene amplificando la musica a diecimila decibel grazie ad apparecchiature montate sul gippone. Poi la famiglia estrae un enorme contenitore di birre e si piazza in piedi, bottiglia di birra in mano intorno alle enormi casse acustiche. E così si va avanti fino a tarda notte. Giovedì santo il numero di mostruo famiglie, gipponate, birrate agli ulltrasuoni aveva superato la sostenibilità del Cabo de la Vela. Noi siamo stati cacciati dalla nostra cameretta sul mare per far posto a 32 familii che si sono sistemati alla meglio. In cambio ci hanno messo a dormire in piccionaia insieme a seicentoottantatre altri turisti sistemati su altrettante amache. Abbiamo capito che non c'era più posto per noi in alta Guajira e così la mattina alle quattro, sotto una luna piena mozzafiato che si specchiava nel caribe immobile, abbiamo ripreso il nostro camioncino e in tre ore di cassone siamo tornati in città a Riohacha.

L'8 aprile, giorno di pasqua siamo partiti per Valledupar da dove scrivo.

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